Il termine “bamboccioni” fu elevato agli onori delle cronache nel 2009 dall’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa. Quell’anno sul colle del Quirinale sedeva ancora Giorgio Napolitano che, più che “regnare” come custode della Costituzione, governava sul Parlamento ingerendo non poco sulle scelte e sulle formule politiche che andavano realizzandosi in quel periodo. L’esponente del governo profferì quella frase nel corso di un audizione nelle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato. Nell’illustrare un provvedimento a sostegno dell’occupazione giovanile, l’inquilino del Palazzo di via Venti Settembre, spiegò che si trattava di una “misura interessante e importante per i giovani” poiché serviva a “mandare quelli che io chiamo ‘bamboccioni’, fuori di casa”. Insomma: un’incentivazione per gli “ever green” a mollare il comodo riparo del tetto avito visto che in tanti, tra loro, preferivano rimanere nel più confortevole rifugio domestico anche fino a 30 anni e passa, “non diventando, di fatto, mai veramente autonomi e non sposandosi mai” come ebbe a spiegare Padoa-Schioppa. Insomma, quella scattata dal ministro fu una fotografia realistica della condizione giovanile in Italia che destò qualche polemica strumentale da parte dei soliti noti accorsi in aiuto di una generazione che molto si lamentava e poco si dava da fare. La vecchia e mai sopita ambizione del posto fisso statale restava, allora, il desiderio più diffuso per tanti millenials ma erano quelli i tempi del blocco delle assunzioni e della politica di risanamento di un bilancio statale pieno di debiti. Così le aspettative rimanevano deluse. Parliamoci chiaro. Le cose, a 13 anni di distanza, non sono cambiate poi di molto nell’immaginario collettivo delle famiglie italiane ancorché si siano aperte, con i prestiti europei a sostegno degli Stati maggiormente in difficoltà, nuove prospettive occupazionali sia nella scuola, sia nella pubblica amministrazione. L’emigrazione dei cervelli migliori all’estero rimane infatti un dato costante per taluni settori come la ricerca in campo medico e scientifico, tuttavia qualche spiraglio s’intravede nelle nuove politiche stataliste ed assistenziali. Però, a fronte di tutto questo, i comportamenti giovanili continuano ad essere improntati allo “sfruttamento” delle risorse familiari fin quando questo è possibile, creando una sorta di corto circuito sociale entro il quale i vecchi mantengono i giovani. Uno stato di cose che delegittima le aspettative sia degli uni che degli altri, con i “bamboccioni” costretti ad arrangiarsi come meglio possono diventando sempre più abulici e scontenti . “Tutto ciò che è reale è anche razionale” affermava Hegel. Ne consegue che tale assetto esistenziale si riverbera anche nel campo dei comportamenti e delle opinioni comuni, ivi comprese quelle che determinano le scelte politiche ed elettorali. Attraverso il capillare utilizzo dei social infatti, malcontento ed insoddisfazioni si coagulano diventando opinione comune che poi va ad influenzare la fenomenologia culturale e sociale del Belpaese. Di questo stato di cose è figlio ed emanazione diretta il M5S, nato estemporaneamente su basi qualunquistiche e malmostose. Se, infatti, questo Movimento ha potuto sovvertire i vecchi equilibri politici diventando, in breve tempo, il partito di maggioranza relativa in Parlamento, lo si deve proprio a questa diffusa condizione protestataria e velleitaria al tempo stesso, tipica di tanti “post adolescenti” mai diventati grandi. Insomma: molti giovani in quanto eterni bambini, non avendo prospettive hanno preferito rimanere nel limbo di una mancata responsabilizzazione, affidandosi alle fantasie teoriche, rivoluzionarie e moralistiche. In un bell’articolo lo psicanalista Massimo Recalcati ha approfondito il tema affermando: “una vita adulta tende ad assumere con coerenza le conseguenze delle proprie azioni; una vita adolescente non si preoccupa di questa assunzione perché, al fondo, ritiene che le proprie azioni non abbiano mai delle vere conseguenze”. Ne discende che se si corre dietro alla protesta volgare e sguaiata di un consumato attore come Beppe Grillo, convinti di avventurarsi in un progetto “rivoluzionario” con il quale abbattere un non meglio precisato “sistema” e le istituzioni democratiche, significa non avere senso (o averne poco) delle cose reali. Se poi il sistema alternativo proposto è quello di innalzare forche per chiunque abbia assunto responsabilità pubbliche, oppure che sia solamente depositario di un atto giudiziario (che peraltro si chiama “avviso di garanzia”), allora è peggio ancora! Altro che senso di responsabilità! E fa niente se questa rivoluzione venga agitata da un partito, quello dei 5 Stelle, di proprietà di una società con fini di lucro! Chi sono quindi oggi questi giovani a 5 Stelle ai quali consegnare la Nazione, i principii costituzionali, il governo del Belpaese e dietro a che cosa essi oggettivamente corrono? Due interrogativi che hanno forse cento diverse risposte ma che potrebbero avere lo stesso comune denominatore esistenziale. Sono i figli dei “baby boomer”, quelli cresciuti tra mamme premurose e padri accondiscendenti, immemori di come essi stessi erano cresciuti affrontando le tematiche sociali e politiche per “cambiare le cose”. Dentro la famiglia, nella società, sul posto di lavoro, quella generazione aveva lottato per cambiare il mondo, ma poi ha commesso l’errore fatale di regalarlo ai propri figli, senza sudore e fatica. Questo fu l’atto di nascita dei “bamboccioni a Cinque stelle” che, temo, non abbiamo ancora finito di fare danni.
*già parlamentare