La stele di Rosetta

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

È passata molta acqua sotto i ponti dal 1822 allorquando un archeologo francese Jean- François Champollion decriptò una lastra di granito, conservata nel Museo Egizio de Il Cairo, consentendo al mondo intero di comprendere il significato dei geroglifici egizi. Questi ultimi, prima della traduzione, venivano ritenuti forme idiomatiche, ovvero simboliche, non lettere di un vero e proprio alfabeto che si componeva di simboli aventi il valore di lettere. Il blocco di granito fu scoperto durante l’epopea Napoleonica in Egitto e per puro caso, era verosimilmente parte della stele di obelisco. Bastarono le cinquanta righe presenti sul frammento a far decifrare tutto l’alfabeto egizio. La stele conteneva la medesima iscrizione in tre lingue l’Egizio, il Demotico (u’altra forma di scrittura egizia ) ed il Greco antico e fu con l’ausilio di quest’ultima lingua, studiata nei licei di tutto il mondo, che l’arcano venne svelato. Lo stesso era già successo, qualche secolo prima, con il ritrovamento delle Tavole Egubine, delle lastre di Bronzo contenenti iscrizioni in Etrusco ed in Latino, che consentirono di decifrare la lingua del primo popolo che dominò in epoca pre romana parte dell’Italia. Una introduzione a questo articolo di tipo archeologico che ci porta a pensare a quanto avviene in queste ore presso il Ministero degli Interni ove sono in consegna i simboli dei partiti politici che, a vario titolo, concorrono per le prossime elezioni.

Un centinaio di stemmi di diversa foggia e colore, con scritte indicanti i nomi dei leader che oggi gestiscono, a proprio nome, quei simulacri chiamati partiti politici. Ancor più variegate le scritte di riferimento, in parte ideologiche e programmatiche alle quali si ispirerebbero quelle forze politiche. Salta all’occhio, nel mucchio il simbolo presentato da Adriano Panzironi, il venditore televisivo di integratori alimentari e dispensatore (abusivo ) di regimi dietetici che promettano salute e longevità. Troneggia sul simbolo del guru della lunga vita una ghigliottina con la scritta “rivoluzione sanitaria”. Il richiamo alla tricoteuse giacobina è di dubbio gusto, volendo indicare e sollecitare, nel corpo elettorale, la necessità di una rivolta violenta per recidere le teste dei politici, un messaggio teso a rinfocolare l’odio sociale. La scritta, invece, è priva di senso compiuto e forse rappresenta uno sfogo, una rivincita, per la recente condanna che un tribunale ha comminato al fantasioso venditore di longevità a buon mercato. Non mancano i simboli civici e di area regionale, ciascuno col suo motto che sintetizza il richiamo a rivendicazioni ed insoddisfazioni territoriali. Ovviamente sono presenti i simboli di partito accorpati, scaturenti dalle recenti alleanze tra partiti da far valere nei collegi uninominali, ove corrono i candidati delle fresche coalizioni per accaparrarsi il voto in più che basterà per decretarne la vittoria. La miriadi di simboli è il frutto di una legge elettorale “il Rosatellum” che mischia maggioritario (collegi uninominali ) e proporzionale (liste plurinominali), con collegi elettorali promiscui. Ambiti territoriali poco omogenei e sperequati, anche per la diversa densità demografica dei comuni che ne fanno parte. La riduzione di un terzo dei seggi parlamentari, invocata come simbolo della lotta alla Casta ma limitatrice solo della rappresentanza popolare in Parlamento, ha reso necessario l’allargato dei confini territoriali entro i quali si realizzano i collegi elettori. Una babele di popolazioni mischiate che favorisce i candidati provenienti dalle città più popolose in danno di quelli rappresentati zone con una miriade di piccole comunità e di pochi elettori.

Dulcis in fundo c’è da tener conto del collegio unico nazionale che assegna i seggi nel proporzionale in base ai voti raccolti dalle liste plurinominali. Un sistema quest’ultimo, governato da altri tecnicismi che poco o nulla chiariscono agli elettori sull’assegnazione dei seggi medesimi. Insomma, chi vota avrà pochi riferimenti ed ancor meno certezze di poter eleggere il candidato che preferisce. Tuttavia, come se tutte queste ambiguità non esistessero, ancorché volute da quasi tutti i partiti della passata legislatura, ci si affanna ad ipotizzare uno semplicistico scontro tra i due blocchi politici di centro destra e centro sinistra. Abbiamo più volte scritto che l’incremento della quota proporzionale avrebbe accentuato la tutela e la visibilità delle singole identità politiche, vere o presunte che siano, con il fiorire di liste e simboli. Abbiamo chiarito che solo un maggioritario vero e pieno, che assegni un premio di maggioranza alla coalizione vincente, che faccia scegliere al popolo il capo del governo, identificato nel leader della coalizione vincente sarebbe stato comprensibile a tutti. Un sistema capace di lasciar scegliere il parlamentare in collegi uninominali e di piccole dimensioni. Un metodo che lega l’eletto al territorio e non alle scelte calate dall’alto delle sagrestie politiche. Niente liste plurinominali per paracadutati, ma per gente che la gente conosce, in ambiti politici omogenei, come premessa essenziale per la stabilità della futura maggioranza di governo. Invece ci troviamo ancora innanzi alla stele di Rosetta a decifrare simboli e linguaggi sconosciuti, per un politica che si è fatta archeologica per la sua arretratezza.

*già parlamentare
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