La sanità italiana, pur tra mille traversie, ha superato lo scoglio della pandemia da Covid allineandosi a tutti gli altri sistemi europei ed, in qualche caso, superandoli per le pratiche di terapia genica. Ciò nonostante, col senno di poi (e le conoscenze dei meccanismi eziopatologici del virus), sono molti, oggi, a pontificare se non a denigrare quanto fatto, in questi anni, dal Ministero della Salute, dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’Agenzia per il Farmaco e dalle varie Aziende Sanitarie locali. Essendo gli italiani un popolo di contemporanei poco inclini a studiare la Storia (e ad avere memoria), risulta facile esprimere giudizi e suggerire strade diverse di approccio al problema.
Eppure basterebbe ricordare i primi, tremendi, mesi del 2020 allorquando l’epidemia si concentrava in Lombardia e nel Veneto mietendo migliaia di vittime con i medici impotenti e senza cure, per comprendere cosa è giusto e cosa non lo è. Certo il ricorso ad esami autoptici fin dai primi casi avrebbe subito disvelato che si trattava di una malattia mortale di tipo vascolare e che il riflesso dell’insufficienza polmonare altri non era che la conseguenza di una trombosi che riguardava l’apparato respiratorio e cardio circolatorio. Che dire, però? Un maggiore acume avrebbe risparmiato la vita a centinaia di persone, soprattutto malati cronici ed anziani ai quali l’infezione dava il colpo di grazia.
Tuttavia il fatto che in quei drammatici momenti confusione e disorganizzazione regnassero sovrane nella rete sanitaria nazionale, unitamente alla scarsa disponibilità di posti letto in rianimazione e l’elevato numero di decessi, può ben essere un elemento se non di giustificazione quantomeno di comprensione di quel tragico fenomeno. Poi, mano a mano che la ricerca ed i virologi (categoria professionale peraltro di scarsa consistenza numerica) sono riusciti a comprendere i meccanismi di azione di un morbo, ricordiamolo, ignoto alla specie umana (sia che fosse di origine naturale oppure artificiale), ecco che le cose hanno iniziato a prendere il loro giusto verso. In ogni caso, farmaci a parte ed anticorpi monoclonali con scarsa efficacia oltre i primi giorni di malattia, contro la grande virulenza non c’è stato altro mezzo che procedere con le terapie geniche, malamente denominate “vaccinali”, in grado di indurre risposte adeguate al nostro sistema immunitario.
Furono molti gli scienziati da tastiera e la vasta fascia di popolazione che li seguiva sui social, a contestare tale rimedio formando una fascia di opinione pubblica che si costituì in movimento politico ed antagonista del governo. Una lotta serrata fu combattuta allora senza esclusione di colpi ancorché l’esecutivo non avesse mai imposto alla popolazione l’obbligatorietà della cura se non per quelle categorie più esposte (come i sanitari) in quanto a contatto con malati e pubblico. Oggi Il nuovo governo ha emanato un decreto che liberalizza ed abolisce qualsiasi obbligo “vaccinale”. Una misura che taglia di netto il nodo gordiano della questione. Ora, che sia un provvedimento per compiacere una larga parte dei No Vax che hanno votato la Meloni oppure un avveduto calcolo sull’ormai marginale mortalità del virus, non è dato sapere. La verità è che nelle stanze del Ministero sono arrivati uomini fidati del presidente del Consiglio che pare abbiano tutta l’intenzione di dare risposte muscolose più che avvedute.
Insomma: il governo politico non dovrebbe fare l’errore di essere partitocratico, ovvero piegare alla visione utilitaristica e partitocratica un Ministero nevralgico,ancorché l’establishment poco lo consideri perché senza portafoglio (privo cioè di un propria capacità di spesa in quanto delegata alle regioni), ma che incide molto sulla vita della popolazione. Forse è questo il vero deficit politico dell’era di Giorgia Meloni: aver portato negli snodi ministeriali persone che guardano all’ideologia più che alle idee.
La Sanità, con gli oltre 150 mila addetti, infarciti da una pletora di burocrati, che consuma oltre il 5 percento del fondo sanitario nazionale solo per trasferire le risorse dal centro alle Aziende Sanitarie Locali, rappresenta la terza voce di spesa dello Stato ed oltre il 50 per cento del bilancio delle Regioni. Queste ultime, in virtù della modifica del Titolo V della Costituzione, una delle poche riforme assentite dal popolo nei referendum confermativi delle leggi di modifica della Magna Carta, si sono organizzate ciascuna a propria convenienza. Ne consegue che oggi la Sanità italiana costa oltre 160 miliardi di euro dei quali una quarantina escono dalle tasche dei cittadini. Cittadini che hanno differenti capacità reddituali per gli extra ed i ticket, ma che vengono finanziati allo stesso modo. Un odioso modo di fare parti eguali tra diseguali. Chi può si arrangia, chi non può vive in balia delle alghe del mar dei Sargassi. Con buona pace dei tifosi…
*già parlamentare
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