MONDRAGONE – Sconto di pena negato al boss Augusto La Torre: attraverso il suo legale aveva presentato ricorso contro l’ordinanza della Corte d’assise d’appello di Napoli, emessa il 17 febbraio scorso, con cui era stata rigettata la sua richiesta di continuazione tra alcune condanne incassate. L’istanza, se accolta, avrebbe ridotto gli anni che il capoclan dei Chiuovi ha da scontare in cella. Ma la Suprema corte ha risposto picche. Perché? Ha ravvisato che “non ci sono elementi in forza dei quali poter affermare che La Torre, nel momento in cui aveva deciso di aderire all’associazione di tipo mafioso, avesse già preventivato di commettere anche gli ulteriori reati oggetto dell’istanza. In particolare – ha ricordato la Cassazione – il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che i reati estorsivi, pur avendo costituito uno degli scopi dell’associazione, non erano stati pianificati sin dal momento costituivo del sodalizio criminoso. Non è configurabile, infatti, la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programmabili ab origine perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione”. Altro elemento che ha portato gli ‘ermellini’ a respingere il ricorso è l’eterogeneità dei reati che il boss avrebbe voluto ‘unire’: pizzo, favoreggiamento personale e falsa testimonianza. “Sono stati commessi in tempi diversi e con l’ausilio di soggetti diversi”, ha chiarito la Cassazione.
Tra le recenti condanne incassate dal boss c’è pure quella emessa dalla Corte d’assise d’appello di Napoli (nel dicembre 2020) in relazione alla strage di Pescopagano avvenuta il 24 aprile 1990: venti anni di reclusione. Persero la vita 5 persone e altre 7 rimasero ferite.
Dopo anni di silenzio, la figura di La Torre è riemersa nel 2018 con le inchieste coordinate dai pm Alessandro D’Alessio (ora procuratore di Castrovillari) e Maria Laura Lalia Morra che avevano acceso i riflettori sul dinamismo criminale di Francesco Tiberio e Antonio La Torre, rispettivamente figlio e fratello di Augusto, in relazione alla detenzione di armi e al traffico di stupefacenti (settore, quest’ultimo, che ha coinvolto il solo Francesco Tiberio). L’attività investigativa aveva evidenziato anche le ingerenze del boss dal carcere nella gestione di diversi affari portati avanti dal figlio, ma tale tesi, riportata dalla Dda, non è stata ritenuta solida dal Tribunale di Napoli. Di questo filone si è occupato con numerosi articoli il giornalista di Cronache di Caserta, Giuseppe Tallino: il suo lavoro ha scatenato la rabbia del capoclan al punto da ‘dedicargli’ dal carcere frasi offensive che sono oggetto di un processo in corso dinanzi al Tribunale di Ivrea (la prossima udienza si terrà a febbraio) e che per diversi mesi hanno spinto la Prefettura a sottoporre il cronista a vigilanza radiocontrollata per tutelarlo.
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