C’è un’idea diffusa sui Campi Flegrei, quasi un mantra ripetuto da anni: “è sempre stato così”. I terremoti, il sollevamento del suolo, la paura che serpeggia tra i vicoli di Pozzuoli e dintorni sarebbero parte della normalità, una costante millenaria. Ma è davvero così? Secondo Giuseppe De Natale, sismologo e vulcanologo, Dirigente di Ricerca dell’INGV, la risposta è un secco no. E non si tratta di ipotesi, ma di dati storici e scientifici. Dopo l’eruzione del Monte Nuovo nel 1538 e qualche decennio di assestamento sismico, l’area è rimasta in assoluta quiete per quattro secoli. Nessun terremoto, nessun sollevamento del suolo. Poi, a partire dal 1950, qualcosa è cambiato. Il terreno ha ripreso ad alzarsi, prima lentamente, poi con accelerazioni improvvise. La sismicità è tornata nel 1970, con picchi nel 1983-84, e dal 2006 il fenomeno è ripartito con crescente intensità. Oggi la paura di un terremoto più forte serpeggia tra la popolazione, mentre gli esperti cercano di spiegare cosa sta succedendo senza creare allarmismi ingiustificati. Ma come si fa a bilanciare prudenza e consapevolezza? Quali sono i reali scenari possibili? E soprattutto, perché nessuno ha ascoltato gli avvertimenti lanciati da De Natale anni fa? Ne abbiamo parlato direttamente con lui, per fare chiarezza su ciò che sta accadendo sotto i nostri piedi.
Lei ha inviato una lettera al prefetto via Pec nel 2018, e poi di nuovo nel 2023, per avvisare dell’aumento progressivo della sismicità dei Campi Flegrei. Come ha interpretato le mancate risposte da parte delle autorità?
Rispondo a titolo personale, per la mia esperienza. Nel 2018 inviai la PEC ai vertici del mio Istituto, chiedendo di avvisare le istituzioni di protezione civile locali e nazionali: era infatti mio dovere, come funzionario pubblico, avvisare prima di tutto il mio Istituto. Non ebbi risposta allora come non ebbi risposta dal Prefetto quando, constatato il rischio imminente, come era mio dovere di cittadino, lo avvisai direttamente. Però in qualche modo delle mie segnalazioni al Prefetto se ne è tenuto conto, perché il 12/10/2023 (ossia meno di un mese dopo la mia PEC del 17/9/2023) il Governo varò il primo Decreto Campi Flegrei, che ai primi punti prevedeva esattamente la verifica a tappeto della vulnerabilità degli edifici, in una zona limitata ma anche più ampia di quella, minima, da me indicata al Prefetto. Il problema è che da allora non mi risulta sia stato fatto molto.
Quali potrebbero essere delle misure a salvaguardia della popolazione?
La misura più urgente, che tra l’altro segnalai nelle mie PEC, è quella di salvaguardare la popolazione dal rischio di possibili collassi di edifici particolarmente fatiscenti. Bisogna quindi urgentemente verificare gli edifici nell’area più a rischio, per sgombrare quelli fatiscenti. Ho appreso dai media, da un paio di giorni, che sono state completate le verifiche speditive su quasi 18.000 edifici: il 10% è stato trovato affetto da danni gravi, il 50% danni da valutare tra medi e gravi. Bene, credo che quel 10% identificato vada probabilmente sgombrato, se non si riesce a metterlo in sicurezza; e quel 50% va immediatamente valutato in maniera approfondita. Questi dati li ho appresi dai media, potrebbero non essere completamente corretti: ma il concetto è quello.
Secondo lei in futuro potrebbe essere necessaria uno spopolamento progressivo della zona?
Per quanto riguarda l’eventuale spopolamento, queste sono aree tra le più ambite al Mondo, e sono state tra le più popolate fin dall’antichità, nonostante il rischio vulcanico ben percepito. E d’altra anche Napoli è a rischio vulcanico, ma ovviamente è impensabile spopolarla. Dal dopoguerra ad oggi però l’area flegrea e quella vesuviana, che hanno sempre avuto una vocazione turistica e culturale, sono diventati dormitori alla periferia di Napoli. Bisogna quindi non certo spopolarle, ma sicuramente diminuire la pressione residenziale per restituirle alla loro naturale vocazione: turismo, cultura, ed attività economiche compatibili con il territorio.
Il sollevamento del suolo a Pozzuoli ha superato il livello raggiunto durante la crisi bradisismica dell’82-84. Quali sono i rischi a cui andiamo incontro nei prossimi anni?
Il rischio imminente, ripeto, è quello sismico. In quest’area, dallo studio accurato dei terremoti che accompagnarono l’unica eruzione avvenuta in epoca storica: Monte Nuovo, 1538, ed anche da considerazioni teoriche, sappiamo che possono avvenire anche terremoti di magnitudo 5. Vuol dire terremoti oltre 10 volte più forti ci quello avvenuto il 20 Maggio 2024 e, se la magnitudo era corretta, circa 40 volte più forte di quello avvenuto alle 00:19 del 17 Febbraio scorso. Terremoti di questa magnitudo, che avvengono a soli 2-3 km di profondità quindi vicinissimi agli edifici, possono provocare danni ingenti fino al collasso, per edifici particolarmente vulnerabili. Il terremoto della notte del 17 Febbraio ha prodotto accelerazioni massime registrate di 0.5g, comparabili a quelle prodotte da un terremoto appenninico di magnitudo tra 5.5 e 6.
Mastrolorenzo ha affermato che il rischio di eruzione freatica è concreto, e che la risalita del magma può essere molto veloce e un’escalation potrebbe essere imprevedibile, dunque i piani di evacuazione non potrebbero essere efficienti. Lei è d’accordo?
Il rischio di un’eruzione ovviamente esiste, anche se oggi non siamo certi che ci sarà in tempi brevi o anche di anni o decenni. Le eruzioni sono difficilmente prevedibili, specialmente nelle aree calderiche, come i Campi Flegrei. L’esempio pratico più evidente di questa difficoltà sono state le due evacuazioni, nel 1970 del Rione Terra e nel 1984 dell’intera Pozzuoli, fatte perché si temeva un’eruzione imminente, che poi non c’è stata. Oggi, con una zona rossa che contiene oltre 500.000 persone, sarebbe ovviamente un disastro evacuarla, con costi enormi sia economici che in termini di disagio umano, per nulla. Io ho studiato a fondo questo problema, anche con specialisti di altre discipline, perché è un problema che coinvolge molteplici aspetti: economici, sociali, di pianificazione del territorio. Bisogna innanzitutto rendere il territorio quanto più possibile sicuro e resiliente: con edifici resistenti ai terremoti, ampie vie di fuga e sistemi di collegamento, diminuzione della popolazione residente. Dopodichè, bisogna rendere possibile anche una evacuazione ad eruzione già iniziata. Anche le modalità di evacuazione andrebbero ripensate: non un’evacuazione totale di oltre 500.000 persone, ma un’evacuazione progressiva, che inizi dalla zona più a rischio e vada man mano allargandosi a seconda di come evolva l’eruzione. I pochi casi di successo nel Mondo di evacuazioni per il rischio vulcanico sono stati fatti in questo modo; e sono iniziate subito dopo l’inizio dell’eruzione. L’esempio più noto è quello dell’eruzione del Pinatubo del 1991.
Qual è la priorità in questo momento?
La priorità assoluta, in questo momento, è mettere in sicurezza le abitazioni; anche evacuandole preventivamente se c’è dubbio che possano resistere a terremoti di magnitudo 5 che avvengano, a 2-3 km di profondità, nelle immediate vicinanze. Sono calcoli semplici, che i sismologi e gli ingegneri sismici sanno bene come fare.
I tempi sono maturi per un innalzamento dello stato di allerta da giallo ad arancione?
Non esiste, nel Piano di Emergenza, una descrizione di cosa debba avvenire per dichiarare i vari livelli di allerta; perché non sappiamo bene quali precursori, se ci saranno, dobbiamo attenderci oltre a quelli che già vediamo. Il passaggio di livello di allerta è deciso dalla Protezione Civile, su input della Commissione Grandi Rischi che valuta i dati di monitoraggio. Non ha senso che un singolo vulcanologo, quale io sono, si sovrapponga alle istituzioni, scientifiche e politiche, preposte: anche perché ciascuno, a seconda del ruolo che ricopre, ha le sue responsabilità. D’altra parte, come ho detto ho studiato a fondo e pubblicato sui modi più efficaci per la mitigazione del rischio vulcanico in quest’area, che risultano significativamente diversi dal contenuto e dai passaggi dei Piani attuali (che peraltro sono notoriamente aggiornabili in funzione di nuove conoscenze). In ogni caso, l’allerta arancione è molto impegnativa, ed implica già un certo grado di evacuazione dell’area.
Ha senso investire tanti soldi sul progetto di bonifica a Bagnoli in un’area vulcanica a rischio sismico?
A mio parere assolutamente sì. Queste sono aree che non devono essere desertificate, ma al contrario vanno curate, organizzate al meglio per essere resilienti e per sviluppare un’economia basata sul turismo, la cultura e la tecnologia avanzata. In fondo, già gli antichi Romani ed i coloni Greci prima di loro, avevano ben compreso la ricchezza di queste aree e i modi migliori per goderla vivendoci.