La Napoletanagas e lo scippo del Nord

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La storia della produzione e distribuzione del gas nella città di Napoli comincia nel 1837, allorquando Ferdinando II fece illuminare il portico della Basilica Reale di San Francesco di Paola di Piazza del Plebiscito, con 29 lampioni. Da quei 29 lampioni, sostanzialmente, nacque la “Compagnia Napoletana di Illuminazione e Scaldamento col Gas S.p.A.”, meglio nota come Napoletanagas, l’impresa italiana che ha gestito la produzione e distribuzione del gas illuminante e metano nelle province di Napoli, Caserta e Benevento. Un soggetto imprenditivo solido, riconosciuto, competente, tanto da arrivare a gestire direttamente, oltre le tre Province napoletane, ben 125 Comuni della Regione Campania. Quel consiglio di amministrazione riconosceva un marcato ruolo pubblico, con competenze specifiche, maestranze ad alta professionalità, e finanche un gruppo dirigente ambizioso.

Ma tutto questo non è bastato. Nel 2017 la Napoletanagas viene incorporata in Italgas, il cui capitale azionario più alto è detenuto da Cassa Depositi e Prestiti (CDP), dalla SpA del Ministero dell’Economia e delle Finanze (82,77%), oltre alla presenza delle Fondazioni bancarie con il 15,93%. Una scelta che allontana il core business dal territorio, ormai le decisioni si prendono a Torino, sostanzialmente si perde il contatto diretto con questo luogo, il pacchetto clienti (circa 500 mila utenze) viene gestito da soggetti estranei. Le maestranze cresciute all’ombra del Vesuvio, di fatto, vengono limitate.

Il tema delle relazioni sindacali passa da una contrattazione aziendale fatta di ragionamenti sugli investimenti, sulla crescita del soggetto d’impresa, sul miglioramento dei livelli qualitativi dei lavoratori, ad una condizione di resistenza rispetto a piani industriali finalizzati a riduzioni, costi e progressiva deresponsabilizzazione dal territorio. Tutto questo si riflette immediatamente sulla messa a gara della distribuzione del gas, una estenuante battaglia giuridico-amministrativa che parte nel 2018 e si conclude nel 2022. Italgas perde la commessa, nonostante ricorra nelle sedi della giustizia amministrativa (TAR Campania e Consiglio di Stato), soccombendo in entrambe i giudizi. La frittata è fatta! A vincere è l’altro player nazionale del gas, 2i Rete Gas, l’immediato concorrente di Italgas.

Il colpo di grazia per la “onorata” storia di Napoletanagas. Fino al clamoroso colpo di scena. Lo scorso 1° luglio (2025) 2i Rete Gas, con sede a Milano, viene incorporata proprio da Italgas, i due “nemici” storici si fondono, oggi sono tutt’uno. Un esempio concreto che Kees van der Pijl, professore di relazioni internazionali all’Università del Sussex, così stigmatizzerebbe: “Siamo passati da una forma di capitalismo ancora interessato ai processi di accumulazione reali, ad un capitalismo puramente speculativo ed estremamente finanziarizzato”. Si, un capitalismo che perde completamente il requisito dell’etica, che vira verso la speculazione finanziaria, diventando, quest’ultima, così predatoria da assoggettare l’economia reale, che ha re-interpretato in maniera “peggiorista” il vecchio e nobile conflitto fra capitale e lavoro.

Il Mezzogiorno così facendo si disintegra a vantaggio dell’economia del Nord, storicamente molto pratica a “capitalizzare” il Sud, con la complicità di una classe dirigente, e di quella di sinistra in particolare, capace di intrattenersi sulla internazionalizzazione delle dinamiche geopolitiche e non più in grado di leggere le politiche industriali in casa propria. In questa fase storica, l’Italia è interessata ad un filone industriale prevalente, includente come (quasi) esclusivo il settore militare ed aderendo con sistematica devozione al cosiddetto “partito della guerra”. Il riarmo prima di tutto.

La storia ci insegna che il declino del Sud avviene per lo spostamento delle sedi produttive altrove e, nella migliore delle ipotesi, le grandi aziende che “resistono” qui da noi esprimono governance di persone estranee al territorio. Non è bastato lo “scippo” del Banco di Napoli, non ci ha insegnato niente quella tragica esperienza, siamo stati capaci di far passare sulla nostra testa quel “risiko bancario” prima del quale vi si “affiancavano” famiglie e imprese con cognizione e conoscenza.

Siamo un popolo, quello napoletano, che dimentica molto in fretta, dalla memoria corta. La Napoletanagas è stata consegnata alla storia passata, è morta sotto i colpi di una cattiva privatizzazione, sacrificata per una strategia che chiamarla industriale risulta davvero troppo. Qualcuno dovrebbe spiegare perché impiantare un soggetto gestore per tre anni (2i Rete Gas) e poi farlo sparire. Il tutto era frutto di un disegno preciso e ben organizzato, al punto che la classe dirigente, la politica, non hanno fatto in tempo neppure a leggere. Tranne i bene informati, come sempre.

Raffaele Carotenuto
Scrittore e meridionalista

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