MONDRAGONE – L’incapacità di gestire le relazioni sentimentali, la rozzezza di non accettarne la fine, la brutale convinzione che la
donna sia una ‘cosa’ di proprietà dell’uomo. E poi, la parte più pericolosa: la reazione violenta e incontrollata quando quella storia termina.
Un copione purtroppo noto, un paradigma sempre più frequente che dimostra quanto lavoro ci sia ancora da fare su alcuni maschi. Un meccanismo che, stando all’indagine condotta dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, solo pochi mesi fa è tornato a ripetersi: questa volta a Falciano del Massico.
Cosa è successo? Chi non accettava la fine della storia è arrivato a organizzare un raid di piombo contro la casa della donna che lo aveva lasciato. Per quale ragione? Per intimidirla, per renderle la vita insicura, per convincerla, con il terrore, a tornare. E per questa vicenda, seguita dai carabinieri di Mondragone, guidati dal tenente colonnello Antonio Bandelli, il giudice Daniela Vecchiarielli del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, su richiesta della Procura guidata da Pierpaolo Bruni, ha disposto quattro misure cautelari.
Sono stati portati in carcere, ieri mattina, Luigi Fragnoli, 49enne, già condannato per mafia (è il fratello del boss Giacomo) e Carlo D’Annolfo, 47enne, entrambi di Mondragone. Ai domiciliari, invece, Angelo D’Annolfo, 19enne, figlio di Carlo e residente a Falciano del Massico, e Vincenzo Pio Carro, 19enne di Quarto. Gli indagati, con ruoli diversi, stando a quanto ricostruito dall’accusa, mentre erano a bordo di un’Alfa Romeo, transitando in via Eucalipti, avrebbero esploso in aria cinque colpi d’arma da fuoco.
Era il 19 marzo scorso. Un messaggio intimidatorio che, secondo la tesi della Procura, era destinato a una donna che viveva proprio lungo la strada dove, con una semiautomatica calibro 9, sono stati esplosi i proiettili. Chi era quella donna? L’ex fidanzata di Carlo D’Annolfo.
I due avevano ‘rotto’ lo scorso dicembre, ma lui non se ne sarebbe fatto una ragione. Stando al racconto reso dalla vittima, dopo lo stop al rapporto, sarebbe stata pedinata dall’uomo e in un caso D’Annolfo sarebbe giunto a rivolgerle frasi sinistre, con cui le chia riva che non l’avrebbe lasciata in pace perché o sarebbe stata ‘sua’ o di nessun altro. Oltre alla detenzione il legale e al porto in luogo pubblico di un’arma, agli indagati viene contestato anche il reato di minaccia e la detenzione abusiva di armi. Ad assistere i quattro, tutti da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile, sono gli avvocati Edmondo Caterino e Antonio Miraglia.
La chiamata al 112 fa scattare le indagini. Il gruppo in fuga inchiodato dai video
A dare il via all’attività investigativa è stata la chiamata dell’ex fidanzata di Carlo D’Annolfo alla centrale operativa dei carabinieri. Sentiti gli spari, compose il 112. Quando i militari arrivarono, la donna – che si trovava in casa con un’amica, a Falciano del Massico – raccontò di aver notato il passaggio di un’auto e subito dopo di aver udito i colpi d’arma da fuoco. Erano da poco passate le 1.30.
Mentre i carabinieri effettuavano i primi rilievi, la vittima segnalò di aver visto lo stesso D’Annolfo aggirarsi a piedi nei pressi della sua abitazione. Gli accertamenti confermarono che l’episodio – secondo la Procura – era legato proprio a lui, che dalla fine della relazione sentimentale – chiusa nel dicembre 2024 – avrebbe continuato a pedinarla e perseguitarla.
La svolta è arrivata grazie alle telecamere di videosorveglianza di corso Oriente, che hanno permesso di ricostruire i movimenti della notte.
Nei filmati si vede D’Annolfo a bordo di una Citroen C1 con Vincenzo Pio Carro: i due raggiunsero il bar Persechino 2.0, poi l’auto fu lasciata in via Tiglio, mentre D’Annolfo si allontanò a piedi per rientrare nel locale dopo circa dieci minuti.
Poco dopo comparve un’Alfa Romeo Stelvio da cui scesero Luigi Fraggoli e Angelo D’Annolfo, figlio di Carlo. Tutti entrarono nel bar. Quindi, pochi minuti più tardi, Angelo uscì insieme a Frangoli e a Carro, raggiungendo la Citroen per prelevare qualcosa.
Alle 1.32 del 19 marzo i quattro furono ripresi mentre salivano sull’Alfa e si dirigevano verso via Tiglio e via Eucalipti.
Le telecamere di un’abitazione privata della stessa strada dove vive la vittima confermarono la loro presenza: secondo l’accusa, la Stelvio era guidata da Carlo D’Annolfo e proprio dai finestrini dell’auto partirono i colpi di pistola destinati a intimidire la donna.
A premere il grilletto della pistola il fratello del boss Giacomo Fragnoli
Chi, secondo gli inquirenti, ha fatto fuoco è Luigi Fragnoli. Era seduto al lato passeggero dell’Alfa Romeo e, puntando la pistola verso l’alto, in direzione della casa della vittima, ha premuto il grilletto della semiautomatica.
Sui sedili posteriori della macchina, guidata da Carlo D’Annolfo, c’erano – sempre secondo l’accusa – Angelo D’Annolfo (figlio di Carlo) e Vincenzo Pio Carro. E questi, sostiene la Procura – trovando d’accordo anche il gip Daniela Vecchiarielli – pure avrebbero concorso nel reato Un contributo ritenuto ‘morale’ dal giudice del palazzo di giustizia di Santa Maria Capua Vetere, meno decisivo, logicamente, rispetto a chi guidava l’auto e a chi ha sparato, ma comunque un contributo grave.
A detta del gip, c’è il pericolo per tutti e quattro della reiterazione del reato. E la figura che preoccupa di più, stando al materiale raccolto dagli inquirenti, è soprattutto quella di Fragnoli. Per quale ragione? Risulta condannato più volte in via definitiva proprio per detenzione illegale di armi, ricettazione, estorsione e anche associazione mafiosa. Sulla ‘pericolosità’ di Luigi, inoltre, si era già espressa la Dda nel febbraio del 2024, praticamente solo un anno prima del raid di piombo andato in scena a Falciano del Massico. L’Antimafia lo fece in occasione della richiesta di arresto per Giacomo, il fratello boss. Quest’ultimo, dopo una lunga detenzione, era tornato in libertà, ma nel frattempo la Procura aveva richiesto di ri-arrestarlo per un omicidio che lo stesso mafioso, nel 2016, mentre era in carcere, aveva parzialmente confessato (si tratta del delitto di Giuseppe Mancone detto ‘o Rambo, commesso nel 2003).
Per motivare l’esigenza di riportare Giacomo Fragnoli in prigione, gli inquirenti – attenendosi a un’informativa dei carabinieri – tracciarono un quadro dello scenario criminale non incoraggiante, alimentato dalla presenza di soggetti con alle spalle trascorsi mafiosi, e tra questi avevano inserito proprio Luigi Fragnoli. (Giacomo Fragnoli nei mesi scorsi è tornato in libertà, ha scontato la pena per quel delitto che gli veniva contestato e per cui è stato condannato con sentenza definitiva).
Tornando agli indagati del raid di piombo a Falciano del Massico, non ha precedenti specifici, invece, Carlo D’Annolfo, ma è coinvolto, rimarca l’accusa, in un’indagine per possesso e fabbricazione di documenti falsi. Ad ogni modo, per il gip, per questi due (Fragnoli e D’Annolfo) non c’è alternativa alla misura cautelare in carcere: potrebbero recuperare altre armi ed eseguire le stesse condotte. Più leggera la posizione di Angelo D’Annolfo e di Carro: è stata ritenuta sufficiente la misura cautelare degli arresti domiciliari.
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