Artico profondo, allarme riscaldamento

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Si è riscaldato l’ultimo baluardo di oceano che si pensava intatto dalla crisi climatica. Le acque profonde dell’Oceano Artico, noto anche come Mare Glaciale Artico, hanno subito un aumento di temperatura guidato dal rapido riscaldamento dell’Atlantico. A lungo si è creduto che un’oscillazione verso l’alto nel calore di queste acque fosse attribuibile a sorgenti geotermiche. Invece, uno studio pubblicato su Science Advances ha scoperto che a favorire il riscaldamento delle profondità dell’Artico è l’acqua più calda proveniente dalla vicina Groenlandia. Questo eccesso di calore rimasto finora nascosto potrebbe a sua volta contribuire a un’ulteriore riduzione dei ghiacci marini o persino alla fusione del permafrost sottomarino, un fenomeno finora non collegato al riscaldamento globale, che è progredito lentamente e in modo naturale dalla fine dell’ultimo periodo glaciale, 14.000 anni fa. Dopo aver verificato che in alcune aree profonde dell’Artico la velocità di riscaldamento è stata superiore a quella semplicemente giustificabile con il calore geotermico, gli scienziati della Ocean University of China e del Laoshan Laboratory hanno deciso di analizzare decenni di dati sulle temperature delle acque artiche rilevati dalle navi rompighiaccio, per misurare l’entità del riscaldamento proveniente “dal basso”, e non dall’atmosfera. Le acque che si sono riscaldate più rapidamente sono state quelle del bacino euroasiatico, uno dei due maggiori bacini in cui il Mare Glaciale Artico è diviso da un’imponente catena montuosa sottomarina, la dorsale di Lomonosov. Le acque comprese tra i 1.500 e i 2.600 metri si sono riscaldate di 0,074 °C dal 1990. Come spiega il New Scientist, è l’aumento di temperatura corrispondente al trasferimento di quasi 500 trilioni di megajoule di energia, che se arrivassero in superficie, potrebbero sciogliere un terzo del ghiaccio marino alla sua minima estensione annuale. Per i ricercatori, all’origine dell’aumento delle temperature a queste profondità ci sarebbe la risalita verso nord di acque più calde provenienti dal bacino della Groenlandia, un tempo principale fornitore di acque gelide dell’Oceano Artico e ora soggetto a un riscaldamento talmente rapido da non riuscire più a svolgere questo compito. Il risultato è che nel bacino euroasiatico si infiltrano acque meno gelide del solito, che stanno favorendo un aumento delle temperature anche in profondità. La dorsale Lomonosov scherma da queste intrusioni l’altro bacino in cui l’Oceano Artico è suddiviso, quello amerasiatico, che si starebbe riscaldando meno rapidamente. Il riscaldamento del bacino della Groenlandia si è insomma esteso all’Artico profondo, l’ennesimo, inatteso bersaglio del global warming. Questo fenomeno ha destato preoccupazione nella comunità scientifica, che ha monitorato attentamente l’evoluzione delle temperature e gli effetti sul fragile ecosistema artico. Gli studiosi hanno sottolineato l’importanza di comprendere appieno le dinamiche che regolano il riscaldamento delle acque profonde per prevedere gli impatti futuri sui ghiacci marini, sul permafrost sottomarino e, più in generale, sul clima globale. La ricerca ha evidenziato la necessità di adottare misure urgenti per mitigare i cambiamenti climatici e proteggere le regioni polari, che sono particolarmente vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale. Gli scienziati hanno invitato i governi e le organizzazioni internazionali a collaborare per ridurre le emissioni di gas serra e promuovere pratiche sostenibili che possano contribuire a preservare l’ambiente artico per le generazioni future. L’aumento delle temperature nelle profondità dell’Artico rappresenta un campanello d’allarme che non può essere ignorato, e sottolinea l’urgenza di agire per contrastare i cambiamenti climatici e proteggere gli ecosistemi più fragili del nostro pianeta. Le conseguenze del riscaldamento dell’Artico potrebbero avere ripercussioni su scala globale, influenzando i modelli meteorologici, l’innalzamento del livello del mare e la distribuzione delle specie marine. Pertanto, è fondamentale adottare un approccio integrato e multidisciplinare per affrontare questa sfida complessa e proteggere il futuro del nostro pianeta.

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