Addio a Tom Wolfe: l’autore del ‘Falò delle vanità’ aveva 87 anni

New York (New York, Usa), 15 mag. (LaPresse/AFP) –

Lo scrittore statunitense Tom Wolfe, autore del best-seller ‘Il falò delle vanità’, è scomparso a New York all’età di 87 anni. Considerato tra i padri del ‘New Journalism’, Wolfe, il cui nome completo era Thomas Kennerly Wolfe Jr., era nato a Richmond, in Virginia, il 2 marzo del 1931.

Con la sua opera, che comprende una quindicina di saggi e romanzi, ha passato ai raggi x la società statunitense. Alla base della sua ricerca, la convinzione, ereditata dal sociologo tedesco Max Weber, che “lo status di un individuo nella società, la sua appartenenza a una classe sociale e culturale determina quello che è, come pensa e si comporta, molto più della sua psicologia personale e della sua storia intima”. Lui stesso non ha mai cercato di ribellarsi al suo ambiente: la borghesia bianca e conservatrice degli Stati Uniti meridionali. In passato si è vantato di essere stato l’unico scrittore ad aver votato per George W. Bush nel 2004. Sposato da quasi 40 anni con la direttrice artistica della rivista Harper, Sheila Berger, padre di due figli, ha sempre condotto una vita tranquilla, ben lontana dagli scandali di cui sono costellati i suoi romanzi.

Figlio di un agronomo, conservatore e fervente religioso, Wolfe da studente era stato accettato a Princeton, ma aveva deciso di andare al Washington & Lee College per stare vicino ai suoi genitori, prima di frequentare Yale. Laureato in civiltà americana, esordisce come giornalista per lo Springfield Union, un giornale del Massachusetts, nel 1956. Due anni più tardi inizia a lavorare al Washington Post come corrispondente a L’Avana. Nel 1962 si dimette e si trasferisce a New York, dove inizia a lavorare da freelance. Viene così inviato in California dalla rivista Esquire per un reportage sulla cultura delle auto personalizzate. Da questa esperienza nasce il volume ‘La baby aerodinamica kolor karamella’ (pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1969), opera oggi considerata come uno dei primi esempi del ‘New Journalism’, movimento di cui in breve diventa una delle figure centrali, con Hunter S. Thompson, Norman Mailer e Truman Capote. Negli anni successivi, per Rolling Stone e il New York Herald Tribune, Tom Wolfe scrive articoli sulla cultura pop statunitense, su argomenti innovativi che andavano dal mercato dell’arte alle corse automobilistiche all’Lsd. Nelle sue storie porta alla luce, prima di molti altri, le grandi tendenze sociologiche ancora sotterranee nel Paese, come l’ondata hippy o l’individualismo emergente degli anni ’80. Tra i suoi meriti, si ricorda anche quello di aver coniato la definizione di ‘radical chic’ nel saggio ‘Lo chic radicale e Mau-mauizzando i Parapalle’ (1970).

Il suo primo romanzo ‘Il falò delle vanità’ (1987) è un ritratto iperrealista e graffiante di New York negli anni ’80, una città dominata dalla sfera finanziaria. Il libro è un bestseller mondiale e i diritti per l’adattamento cinematografico gli portano 5 milioni di dollari. In seguito Wolfe ha scritto anche di tensioni razziali nel Sud (‘Un uomo vero’, 1988), della vacuità del sistema universitario (‘Io sono Charlotte Simmons’, 2004), di immigrazione (‘Le ragioni del sangue’, 2012). Il suo stile scapigliato gli è valso anche una severa critica da parte dei suoi contemporanei, tra cui Norman Mailer e John Updike. Wolfe non ha mai smesso di proclamare la sua ammirazione per il romanzo realistico francese, in particolare per Émile Zola e il suo “approccio giornalistico all’argomento e alla sua integrità”. Nel 2016, all’età di 85 anni, ha dimostrato di non aver perso nulla della sua acutezza con un nuovo saggio, ‘Il regno della parola’, che celebra l’importanza del linguaggio nelle conquiste umane. “Cerco solo di esprimere la verità”, ha sempre detto del suo approccio letterario e giornalistico.

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