MILANO (LaPresse) – La proposta per riformare il regolamento di Dublino “è morta”. A dirlo senza mezze parole è stato Theo Francken, segretario di Stato belga. Responsabile delle Migrazioni e membro del partito nazionalista Alleanza neo-fiamminga. Tutto ciò, dopo il consiglio Affari esteri europeo a Lussemburgo.
In ballo c’era la possibilità di una svolta sulla riforma del sistema migrazione
La ministra svedese Heléne Fritzon, all’arrivo, aveva dipinto la cornice di un “clima politico più difficile” legato alla “elezione delle destra in Europa”, tra cui in Italia e Slovenia. A Lussemburgo era assente il neo ministro dell’Interno Matteo Salvini, rimasto a Roma per il voto di fiducia al nuovo governo. Ma già domenica, a Catania, aveva detto che la Sicilia non sarà più “il campo profughi d’Europa”. E che “il governo italiano dirà no alla riforma del regolamento di Dublino e a nuove politiche di asilo”. Ciò, in vista del vertice del 28 e 29 giugno a Bruxelles.
“Lo stato attuale dei negoziati non è accettabile”, ha dichiarato Stephan Mayer, segretario di Stato tedesco
Egli ha così allineato Berlino ai ‘no’ alla proposta bulgara. Tra cui quelli del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) e dell’Austria. Intanto, a Roma, il neo premier Giuseppe Conte chiedeva “il superamento del regolamento di Dublino” e “sistemi automatici di ricollocamento obbligatorio dei richiedenti asilo”. Assieme a “dialogo” con l’UE e che l’Italia non sia “lasciata sola”. Sin dal mattino, a Lussemburgo era parso improbabile si arrivasse a un “punto”, anche nelle parole del commissario europeo alle Migrazioni, Dimitris Avramopoulos. “Se dovessimo rinviare di alcune settimane, non sarà la fine del mondo”. E in serata ha poi risposto a Francken, definendo “controproducenti” le sue parole: “La riforma del sistema d’asilo europeo non è morta, a meno che qualcuno non voglia ucciderla, e nessuno qui vorrebbe farlo”.
A dicembre i leader europei avevano stabilito di riveder il regolamento entro la fine di giugno. Ciò, per creare un meccanismo permanente con cui gestire le emergenze.
Al centro, c’è l’obbligo per i Paesi di farsi carico dei richiedenti entrati nel loro territorio al primo ingresso. Misura che pesa soprattutto su Italia, Grecia e Spagna. Il gruppo di Visegrad ha rifiutato o si è opposto di accogliere i rifugiati, dopo che l’Ue ha deciso le quote nel 2015 per redistribuirli. Dei 160mila da ricollocare da Italia e Grecia in due anni, meno di 35mila lo sono effettivamente stati. La maggior parte dei profughi, ha tentato di spostarsi verso i più ‘ricchi’ Paesi dell’Europa centro-settentrionale. Germania in primis, tanto che varie nazioni hanno ripristinato controlli ai confini anche in area Schengen. La proposta bulgara conteneva il tentativo di ridurre i movimenti secondari, e, guardando a Roma e Atene, prevedeva ricollocamenti obbligatori, ma come ultima risorsa e con la possibilità per i Paesi di avere flessibilità sui numeri. Sarebbero state ridotte anche le sanzioni per chi non avesse assolto agli obblighi, e previste maggiori responsabilità legate alla registrazione all’arrivo per le nazioni di primo ingresso.