Con la legge del 30 luglio 1973, si delegò il Governo ad emanare norme sul riordinamento dell’organizzazione della scuola e sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola.
I decreti delegati del 1974 che attuarono la legge sono passati alla storia come uno dei provvedimenti più importanti e controversi della legislazione scolastica. Costituirono per tanti aspetti la risposta legislativa alle contestazioni studentesche, alla pressante chiesta di partecipazione democratica che dal fatidico Sessantotto aveva ricevuto nuova energia, nuova linfa.
Fra i provvedimenti fondamentale fu quello per cui studenti e famiglie entravano di diritto nella gestione della scuola affiancando presidi e professori. Si ritenne in questo modo, di mitigare la persistente contestazione giovanile e, al tempo stesso, ampliare la base democratica della partecipazione alla gestione delle istituzioni dello Stato.
Molti intellettuali in buona fede immaginarono un’organizzazione della scuola inclusiva, la creazione di una comunità, diremmo oggi di destino, operosamente dedita alla missione di rendere l’istituzione scolastica trasparente, fattiva, comprensiva tesa a realizzare il bene comune di alunni, famiglie e docenti, insomma dell’intera società italiana.
Non mancarono, naturalmente, le polemiche sia da destra (si ritenne un eccesso di democrazia la partecipazione degli alunni) sia da sinistra (si accusò la classe politica di voler soltanto indebolire lo spirito rivoluzionario dei giovani contestatori). Nei primi anni grandi mutamenti sia in negativo che in positivo non si segnalarono. Sono passati 45 anni, un tempo politico enorme, quelle polemiche sembrano discussioni giurassiche, la legge è invariata ma la situazione sociale è totalmente mutata.
La presenza degli studenti negli organi collegiali è irrilevante, le proteste giovanili, quando ci sono, sono molto diverse da quelle degli anni passati, spesso sono semplici, stanchi riti, qualche volta rappresentano istanze giuste non supportate da fondamenta ideali o ideologiche forti come quelle che, a torto o a ragione, ispiravano i loro nonni.
E le famiglie, i genitori? Bene, anzi, male: il loro ruolo si è trasformato completamente. Da componente collaborativa quella dei genitori si è trasformata nella spina nel fianco della scuola italiana. Rivendicazioni personali, protezione dei loro figli a discapito dei figli delle altre famiglie, polemicità gratuita, dispettosità, bizzarie di ogni tipo mettono a dura prova la pazienza di presidi e professori, inceppano con ostacoli burocratici il normale funzionamento delle scuole. I consigli di istituto somigliano ai peggiori, litigiosi condomini, alle rancorose riunioni famigliari come quelle descritte da Monicelli nel grande film Parenti serpenti.
D’altro canto la cronaca ci segnala ogni giorno atti di violenza compiuti da genitori nei confronti di professori e dirigenti. Perché, come è possibile? Certo, l’intera dimensione sociale, la psicologia di massa congiurano a legittimare atteggiamenti sciocchi, arroganti e presuntuosi. E’ un’intera generazione formatasi su questi parametri asociali. La pagheranno, questa è l’amarezza, i loro figli naturalmente, innocenti vittime di questa stupida guerra fredda fra scuola e genitori. Intanto una classe dirigente degna del nome cancellerebbe con un tratto di penna, con un clic, i Consigli di istituto. Un piccolo segnale ma un inizio.