C’è qualcosa, dell’ennesimo crollo dei servizi EAV, che mi incuriosisce al punto quasi di turbarmi. Secondo l’Ente Autonomo Volturno, responsabile di alcune delle linee peggiori d’Italia (non lo dico per fare sarcasmo, ci sono proprio delle classifiche ad hoc in tal senso) quali Circumvesuviana, Circumflegrea e Cumana (che però ora tiene la stazione vicino allo stadio con le foto dei giocatori del Napoli quindi grandissimo risultato per il TPL), la colpa di questa ennesima ondata di cancellazioni, soppressioni etc.etc.etc. è dettata dal rifiuto da parte dei dipendenti di fare i dovuti straordinari.
Questa cosa ha indispettito i vertici dell’azienda di trasporti al punto tale da dar vita a uno storytelling sui canali digitali dell’Ente in cui i post dei disservizi sovente partono con “CAUSA IMPROVVISA INDISPONIBILITA’ DEL PERSONALE” o “CONSIDERATO L’IMPROVVISO RIFIUTO DI PRESTAZIONI STRAORDINARIE”. Il clou di questo nuovo stile comunicativo in cui l’azienda scarica tutta la responsabilità sui dipendenti è però un post, datato 8 settembre 2021 d.C., in cui l’azienda come incipit parte con “Facciamo il punto sulle soppressioni perché sennò sembra che siamo pazzi o scemi”.
Questo impietoso teatrino, degno di drammi adolescenziali in bolle social ristrette e non certo di una vertenza seria su un disservizio serio in cui a rimetterci sono i pendolari napoletani e campani che quei mezzi li usano per andare a lavoro. Ed è a questi ultimi che l’azienda deve una risposta, non ai primi scaricare una colpa. Perché c’è tanto da scavare per andare alle origini di un fallimento così importante, ma su una cosa possiamo subito spazzare via ogni equivoco: il ricorso allo straordinario non può essere una soluzione scontata.
Immaginatevi, che ne so, che d’improvviso il vostro capo non solo vi chieda la cortesia di intrattenervi oltre l’orario di lavoro. Di non prendervi più quella domenica di festa che avevate deciso di dedicare a vostra moglie, ai vostri figli, a vostra madre o semplicemente a voi stessi. Di lavorare oltre le 20, oltre le 21, oltre le 24, a Natale e a Capodanno. Ma che la scelta non sia più vostra. Anzi, ancora peggio. Immaginate che se non lo fate vi mettono in pubblica gogna come la causa che non permette di portare avanti l’azienda. Di non portare avanti il servizio. È il lavoratore che diventa il motivo per cui i vostri abbonamenti non servono più a niente, arrivare a lavoro diventerà impossibile, sarete costretti a indebitarvi per comprare un’auto perché la tratta che vi serviva di punto in bianco non è più servita.
Non è certo colpa dell’azienda, incapace di garantire un servizio ordinario. Non è certo colpa dell’azienda, che nonostante ciò ha un contratto di servizio firmato con la Regione Campania in cui ha preso determinati impegni difficili da rispettarsi. Figurarsi poi se può essere mai colpa del presidente dell’Ente che invece spesso e volentieri trova spazio sui giornali come acuto osservatore di Napoli e della realtà circostante mentre sotto di lui i treni saltano a uno a uno come pezzi del domino.
Lo straordinario obbligatorio per sopperire a imbarazzanti carenze del pubblico, in una gestione che non può essere che definita come malagestione, è sinceramente una di quelle consuetudini parastatali meridionali che – come la si vede la si vede – fa pena. Quello che mi fa ancora più male è che questo sottile mobbing psicologico, spesso, c’è anche nel privato, componente reale della vita di tanti giovani lavoratori e lavoratrici di questa terra. C’è ogni volta che si chiede un sacrificio in nome del profitto o della sopravvivenza di imprese che non potrebbero altrimenti. C’è quando si firmano buste paga fittizie con contributi mancanti, o quando si lavora senza limiti di tempo o senza accordi chiari. Rendendo impossibile pianificare la propria vita, già complessa da un mercato imbarazzante. Quella vera. Quella che va oltre il lavoro e il profitto. Invece, il lavorare al Mezzogiorno è ancora oggi più assimilabile al ricatto che a ogni qualsivoglia principio di dignità umana.