“Alla moglie del boss Mezzero lo stipendio da Michele Zagaria”. Il cambio di casacca del capozona e gli affari del clan a San Prisco

Le dichiarazioni del pentito Francesco Zagaria raccolte dal pm Maurizio Giordano

CASAPESENNA – Indeboliti, dimezzati, ma non sconfitti. La lotta ai Casalesi non è finita. E’ ancora lunga e complessa. Cassa e ‘stipendi’, gli elementi che li tengono in vita, resistono. Nonostante arresti e confische, la mafia casertana è ancora in grado di garantire la ‘mesata’ ai parenti dei boss detenuti. A confermarlo è stato Francesco Zagaria, metà colletto bianco, metà assassino.

Il 53enne, arrestato a febbraio per associazione mafiosa e concorso negli omicidi di Sebastiano Caterino e Umberto De Falco (avvenuti nel 2003) , da luglio sta collaborando con la giustizia. Si è pentito. E al pm Maurizio Giordano sta raccontando gli affari e le dinamiche della cosca guidata da Michele Zagaria Capastorta (nella foto in alto).

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Da referente del clan sul Basso Volturno e a Capua, con tentacoli che arrivavano fino al sammaritanto, si è infiltrato nel tessuto imprenditoriale offrendo ai Casalesi ‘entrate sicure’.

“Da affiliato del clan Zagaria – ha raccontato a settembre il pentito – ho commesso fatti di sangue, estorsioni, gestito bische, tenuto videopoker, armi ed altro”. E ‘nell’altro’ indicato sommariamente ci sarebbero anche i soldi da lui versati a Carolina Palazzo: “Confermo – ha chiarito Ciccio ‘e Brezza – di aver corrisposto alla moglie di Antonio Mezzero, a partire da un periodo a ridosso della cattura di Michele Zagaria, la somma oscillante tra i mille e i 2mila euro ogni mese a titolo di mantenimento della famiglia Mezzero. Tale adempimento – ha continuato il pentito – mi derivava dalla volontà diretta di Michele Zagaria”.

Già durante la latitanza, però, dal capoclan o tramite i suoi fratelli, gli arrivano i quattrini da versare alla donna. In alcuni casi, però, venivano presi anche da somme che avrebbe versato egli stesso nella cassa. “Le prelevavo dai profitti dei videogiochi di cui si occupava Franco Sparago (non coinvolto nell’inchiesta ed innocente fino a prova contraria ndr.). Tale adempimento – ha spiegato Francesco Zagaria – era dovuto in quanto Antonio Mezzero e Michele Zagaria erano particolarmente amici pur essendo Antonio Mezzero uomo di Francesco Schiavone Cicciariello”.

Le parole riferite da Ciccio ‘e Brezza al pm Giordano hanno confermato la tesi della Dda che ha portato a processo la Palazzo, accusandola di ricettazione aggravata dalla finalità mafiosa.

L’imputazione contestata alla donna è stata formulata dagli inquirenti sulla base dell’indagine dei carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, guidato dal tenente colonnello Nicola Mirante.

Il cambio di casacca del capozona Mezzero

Il marito, Antonio Mezzero, nei prossimi anni dovrebbe lasciare il carcere. L’ultima condanna da lui incassata risale al 2018: la Corte d’Appello gli ha inflitto 26 anni di reclusione per omicidio, ma il boss di Brezza non ha ergastoli. E’ stato ‘uomo storico’ di Cicciariello, ma negli anni diventato sempre più intimo di Michele Zagaria. E a parlare del suo ‘passaggio’ d da Schiavone a Capastorta non è stato solo Francesco Zagaria. Qualche anno prima l’ha fatto anche Nicola Panaro: “Michele Zagaria sul territorio di Grazzanise poteva contare su Antonio Mezzero a cui corrispondeva direttamente lo stipendio. Percepiva tra i duemila e i duemila e cinquecento euro. La corresponsione – dichiarò il pentito – veniva data per diretta volontà di Michele Zagaria nelle mani dei più stretti congiunti di Antonio Mezzero”.

Recentemente anche un terzo collaboratore di giustizia ha parlato della famiglia di Brezza. Benito Natale, durante la sua testimonianza nel processo a carico proprio di Francesco Zagaria e di Carmine Antropoli (accusato di concorso esterno al clan), ha sostenuto di aver coinvolto in un business grazzanisano, intrapreso con i Nuvoletta, il fratello di Antonio Mezzero, Giuseppe: “Proposi ad Angelo (Nuvoletta, ndr.) di farlo entrare in società così da stare più tranquilli con i Casalesi”. La presenza del germano del capozona mazzonaro avrebbe impedito al clan Schiavone di pretendere altri introiti del business illegale o di ostacolarlo del tutto.

L’ombra del clan sui lavori a San Prisco

CASAPESENNA – In nome di Michele Zagaria quei contratti doveva “strapparli”. Francecsco Zagaria, usando il nome di Capastorta, si sarebbe aggiudicato appalti importanti in provincia di Caserta. Non solo a Capua, ma, stando alle sue dichiarazioni, anche a San Prisco, dove riuscì a scalzare alcune cooperative incaricate di eseguire opere di urbanizzazione.

Lo ha raccontato al pm Maurizio Giordano lo scorso 13 settembre parlando delle società di sua proprietà, la Prisma Costruzione e la Gusto Latte, ma che avrebbe intestato a Domenico Farina: “E’ forse il mio collaboratore più fidato. Posso tranquillamente dire che siamo come fratelli. Conosce tutto di me e della mia storia criminale avendo egli assistito a molte interlocuzioni con persone di spicco del clan, come ad esempio Salvatore Nobis, Antonio Santamaria e Michele Barone […] Ricordo – ha dichiarato il collaboratore – che in occasione del primo lavoro che feci a San Prisco mi recai da Cristofaro Tavoletta (non coinvolto nell’inchiesta ed innocente fino a prova contraria, ndr.), persona collegata ai Tavoletta di Villa Literno. Ci andai in compagnia di Mimmo Farina. Dissi espressamente, alla presenza di Mimmo, a Cristofaro che avrebbe dovuto ‘stappare’ i contratti con alcune cooperative per la realizzazione dell’urbanizzazione di San Prisco per diretta volontà di Michele Zagaria. Portai con me Farina perché gli volli dare soddisfazione – ha spiegato Ciccio ‘e Brezza – in quanto Domenico aveva ragione di risentimento nei confronti di Cristofaro Tavoletta, perché il di lui padre aveva di fatto sempre surclassato il paà di Domenico, a suo volta imprenditore edile. Dissi testualmente a Farina: ‘Vieni con me e ti faccio avere soddisfazione’. Quando spesi il nome di Michele Zagaria con Cristofaro Tavoletta – ha proseguito il pentito – riuscii ad accaparrarmi i lavori di urbanizzazione”.

Farina è accusato dalla Dda di riciclaggio aggravato dalla finalità mafiosa. E’ a processo, dinanzi al tribunale di Napoli, con Ciccio ‘e Brezza, imputato per camorra, Salvatore Carlino, Paolo Gravante e Giovanni Fulco, tutti grazzanisani che rispondono di riciclaggio (in relazione ad una presunta bisca clandestina), Carolina Palazzo, a giudizio per ricettazione, Salvatore Buonpane e Giuseppe Garofalo: ai due è contestato il reato di tentata estorsione. L’iter giudiziario, con rito abbreviato, riprenderà a novembre.

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