Appalti Pnrr e clan dei Casalesi: sequestrata la ditta dei Capaldo

CASAPESENNA – Sequestrata la società Idea Lavoro, con sede a Roma, amministrata dal 31enne Emanuele Capaldo.
A far scattare i sigilli, disposti dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Napoli, è stata l’indagine condotta dagli agenti della Dia nei confronti di imprenditori casertani indiziati di aver fittiziamente intestato le quote e la rappresentanza della ditta capitolina, impegnata nel settore dell’edilizia pubblica, “al fine di preservare – sostengono gli inquirenti – gli interessi economici di soggetti attualmente imputati poiché ritenuti contigui alla fazione Zagaria del clan dei Casalesi”.

Il clone

Il lavoro della Dia, stando a quanto sostenuto dalla Procura partenopea, ha consentito di acquisire gravi indizi sull’ipotesi che Idea Lavoro, formale aggiudicataria di nuovi appalti pubblici, sia “in linea di assoluta continuità, coltivandone le attività e le finalità”, con la Cogecap, “società di cui – fa sapere l’Antimafia – è evidentemente il clone, già sottoposta a sequestro”.
I sigilli per la Cogecap risalgono al 2020 e vennero determinati da una costola dell’inchiesta ‘Medea’, tesa a colpire presunti colletti bianchi collegati al gruppo guidato da Michele Zagaria Capastorta. Nello specifico, quell’attività avrebbe fatto emergere una schiera di uomini d’affare che, sfruttando le loro ipotizzate connessioni con la mafia di Casapesenna, erano riusciti negli anni scorsi ad aggiudicarsi appalti nel settore idrico banditi dalla Regione Campania.

I legami

Tra questi imprenditori c’è, dice la Dda, Raffaele Capaldo, alias ‘o marchese, ora 69enne, che avrebbe avuto il reale controllo della Cogecap e che ora sta affrontando un processo (determinato da ‘Medea’) con l’accusa di mafia dinanzi al tribunale di Napoli Nord. Raffaele è lo zio di Emanuele e Alfredo Capaldo, che ora, dice l’accusa, si occuperebbero di Idea Lavoro.

Il nuovo guscio

La Cogecap, secondo l’ipotesi di indagine, avrebbe adottato una diversa veste solo formale, con nuovi soci e nuovi amministratori, sfruttando diversi artifici al fine di aggirare la normativa antimafia e sottrarsi a possibili misure di prevenzione, come la fissazione di una sede legale in via Bentivoglio a Roma risultata solo fittizia. Insomma, la sostanza della Cogecap si sarebbe insinuata nel guscio di Idea Lavoro. E proprio questa società, peraltro, ha sottolineato la Dia, “è risultata aggiudicataria di cinque appalti pubblici, tre dei quali finanziati con fondi Pnrr, in diverse aree delle province di Napoli e di Caserta”.

L’amministratore giudiziario

L’attività degli agenti della Divisione investigativa antimafia, a ha portato la Procura di Napoli a contestare violazioni della normativa penale anche all’amministratore giudiziario Giovanni Gogliettino, professionista di Caserta, della precedente società, già sottoposta a sequestro, “per non aver adottato, sostiene l’accusa, gli strumenti di controllo per la gestione dei mezzi e delle attività che erano stati affidati alla sua custodia e vigilanza, anche per consentire la corretta esecuzione di un appalto che era già in carico a quell’impresa, consistente nella ristrutturazione per il riutilizzo ai fini sociali di un bene confiscato alla camorra”.

L’inadgine

Il procedimento penale nell’ambito del quale la Procura ha disposto il sequestro trae origine da elementi raccolti a seguito dei controlli effettuati nel corso di accessi disposti dal Prefetto di Napoli presso i cantieri di appalti pubblici nell’area metropolitana napoletana, eseguiti dal Gruppo interforze costituito presso la Prefettura in seno al quale la Dia, sulla scorta degli accertamenti preliminarmente svolti, seleziona gli interventi da porre in essere in via prioritaria.
Il sequestro eseguito dagli agenti della Dia venerdì scorso, e di cui è stata diffusa solo ieri pomeriggio la notizia, è una misura cautelare, disposta in sede di indagini preliminari, avverso la quale sono ammessi mezzi di impugnazione. E i destinatari della misura sono da ritenere innocenti fino ad un’eventuale sentenza definitiva.
Nel collegio difensivo degli indagati sono impegnati gli avvocati Giuseppe Stellato e Michele Di Fraia.

L’indagine nata dai controlli su un cantiere a Casalnuovo

  • Aveva vinto un appalto a Casalnuovo. Idea Lavoro era impegnata in un cantiere nella provincia di Napoli e proprio qui, nel corso di un normale controllo, è emerso che la ditta stava usando un mezzo riconducibile alla Cogecap, ritenuta originariamente di Raffaele Capaldo, uomo d’affari ora a processo con l’accusa di associazione mafiosa. Questa società, però, non era ‘libera’, ma affidata al controllo di un amministratore giudiziario. Nel corso dei controlli era giunto sul cantiere non solo Emanuele Capaldo, l’amministratore di Idea Lavoro, ma anche il fratello Alfredo, che risultava dipendente della Cogecap. Tale circostanza ha ulteriormente spinto gli agenti della Dia a far luce sulla presenza di un mezzo di una ditta, sequestrata nell’ambito di un’indagine di mafia (Medea), in un cantiere affidato a una società con sede a Roma e che nulla, almeno su carta, avrebbe dovuto avere a che fare con la Cogecap.
  • E in poco tempo è stato tracciato il presunto collegamento tra le due società: la Cogecap originariamente gestita da Raffaele Capaldo avrebbe continuato a lavorare, usando alcuni dei suoi mezzi, sfruttando la nuova società con sede a Roma intestata ad Emanuele (nipote di Raffaele che ha di Idea Lavoro il 90 percento delle quote – il restante è intestato ad una ragazza).
    Per la presenza del mezzo della Cogecap sul cantiere a Casalnuovo, la Dda contesta ai Capaldo e all’amministratore giudiziario il reato di ‘peculato d’uso’ con l’aggravante di aver agevolato la fazione Zagaria del clan dei Casalesi. Logicamente si tratta di un’ipotesi contestata ad indagine in corso e quindi non è da escludere che i soggetti finiti sotto inchiesta riescano a dimostrare la loro estraneità alle condotte tracciate dall’Antimafia partenopea.

I pentiti: ‘o Marchese intoccabile e socio occulto del boss Capastorta

CASAPESENNA (gt) – Dal 2001 al 2015, insieme ad altri uomini d’affari dell’Agro aversano, avrebbe rappresentato il braccio imprenditoriale di Michele Zagaria Capastorta, in carcere dal 2011 e capo della cosca mafiosa di Casapesenna: è l’accusa che la Dda contesta a Raffaele Capaldo, noto come ‘o marchese. Ed è l’accusa che lo tiene a processo, dal 2021, dinanzi al Tribunale di Napoli Nord. A breve per lui e per altri 5 imputati arriverà il verdetto della seconda sezione penale (collegio A) del palazzo di giustizia normanna. In attesa di quella sentenza, legata alla sua attività imprenditoriale ha preso il via anche una nuova inchiesta. Ci riferiamo a quella che nelle scorse ore ha fatto scattare i sigilli per Idea Lavoro, la società amministrata, almeno formalmente, secondo quanto dichiara la Dda di Napoli, dal nipote Emanuele Capaldo.
A puntare il dito contro Raffaele sono stati diversi collaboratori di giustizia. E tra questi c’è Michele Barone (nella foto). L’ex affiliato del clan dei Casalesi nel 2016 raccontò ai magistrati dell’Antimafia che Raffaele Capaldo era tra gli imprenditori intoccabili, ai quali non era possibile chiedere estorsioni in quanto “gli servivano”. “Erano imprenditori presso cui”, riferì Barone, “Michele Zagaria si appoggiava o di cui erano proprio soci”. Tali informazioni sono state raccolte dalla Dda e inserite tra gli atti dell’inchiesta Medea.
Anche il brianese Attilio Pellegrino, ex cassiere della cosca e ora collaboratore di giustizia indica Capaldo come “un socio occulto di Michele Zagaria”, informazioni che apprese, riferì nel 2015 ai magistrati, da Massimiliano Caterino detto ‘o mastrone, tra gli uomini di più stretta fiducia di Capastorta.
L’inchiesta che tiene a processo ‘o marchese, nel 2020 fece scattare 7 misure cautelari (successivamente annullate). Ed ora per 6 di loro, accusati di camorra, si attende la sentenza di primo grado.

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