CASAL DI PRINCIPE – Un turbativa d’asta operata da due imprenditori e un ingegnere per due appalti pubblici del Comune di Calvi Risorta; i lavori erano quelli di manutenzione straordinaria della viabilità comunale e di adeguamento sismico ed efficientamento energetico di un plesso scolastico. Tre milioni di euro il costo. Ruota intorno a questi episodi l’inchiesta che ieri mattina ha portato all’arresto di tre persone. In cella sono stati ristretti Tullio Iorio, 49 anni, di San Cipriano d’Aversa e Raffaele Pezzella, 58 anni, di Casal di Principe. Ai domiciliari invece Piero Cappello, 60 anni, ingegnere, originario di Piedimonte Matese ma residente a Caserta. Indagati a piede libero invece Carlo D’Amore, 45 anni, di Casapulla; Giuseppe Napoletano, 40 anni, di Casal di Principe e Carmine Petrillo, 42 anni, di Centurano, frazione di Caserta. I reati contestati sono, a vario titolo, trasferimento fraudolento di beni, turbata libertà degli incanti, ricettazione per agevolare il clan dei Casalesi, in particolare la cosca degli Schiavone. A Cappello il gip del tribunale di Napoli, Gianluigi Visco, che ha firmato il provvedimento della misura cautelare, contesta il falso ideologico in atto pubblico. Ad eseguire il provvedimento chiesto dalla Dda di Napoli sono stati i carabinieri del nucleo investigativo del Comando Provinciale di Caserta coordinati dal tenente colonnello Gianluca Galiotta. Le indagini, condotte dai carabinieri dall’anno 2021, caratterizzate da numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali, unitamente ad attività di riscontro anche di flussi bancari, hanno permesso di accertare la capacità di infiltrazione dei due imprenditori nel settore degli appalti pubblici e il condizionamento delle procedure. Il fine, per la Dda era quello di aggiudicarsi lavori i cui compensi, in parte, sono stati destinati a finanziare il clan dei Casalesi. Nel corso dell’attività investigativa è emerso come, stando al gip, Cappello, che lavorava in Comune a Calvi Risorta, attraverso uno stratagemma informatico, avrebbe modificato l’elenco delle ditte sorteggiate da invitare alla gara, ricavate, come normalmente previsto dall’iter, dalla piattaforma consortile Asmel. E’ stato accertato, altresì, sostiene la Dda, che i due imprenditori Pezzella e Iorio, attraverso la gestione occulta di alcune società, muovevano e drenavano liquidità che, così sottratta ad eventuali misure di prevenzione, realizzava anche la finalità di poter essere destinata all’organizzazione mafiosa del clan dei Casalesi. A seguito delle risultanze investigative la Procura della Repubblica di Napoli ha disposto anche il sequestro della totalità delle quote di partecipazione al capitale di due società con sede a Napoli e Caserta, delegando per l’esecuzione personale del nucleo speciale di polizia valutaria, gruppo investigativo Antiriciclaggio della guardia di finanza di Roma. Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione e i destinatari di essa, in quanto persone indagate, sono da considerarsi innocenti fino a sentenza definitiva. Le indagini presero il via 4 anni fa quando Francesco Zagaria, collaboratore di giustizia, ex persona di fiducia del capoclan Michele Zagaria, Fu proprio Francesco Zagaria a palare di Cappello che insieme ad un responsabile tecnico dell’Asi (ente estraneo all’inchiesta) avrebbe favorito l’aggiudicazione di una gara d’appalto alla ditta dello stesso Zagaria in cambio di 40mila euro, “essendo ben a conoscenza della di lui caratura mafiosa” annota il gip nella prima parte dell’ordinanza cautelare eseguita ieri. Oggi i due arrestati in carcere saranno sottoposti ad interrogatorio di garanzia.
I due manager accusati dai collaboratori
Tullio Iorio è stato condannato per ricettazione aggravata dalla finalità di agevolare i Casalesi per fatti commessi nel 2005. Figlio di Gaetano, fu assolto invece nell’inchiesta che lo vedeva coinvolto come addetto al cambio assegni per gli Schiavone. Tre anni fa fu arrestato con Raffaele Pezzella per concorso esterno ai Casalesi. Rimesso in libertà per insussistenza delle esigenze cautelari dal tribunale del Riesame. Venerdì 27 ottobre scorso Pezzella fu colpito da un sequestro. Un blitz da 8 milioni di euro all’imprenditore vicino ai Casalesi: Pezzella è ritenuto appartenere, sin dal 2000, a un ristretto gruppo di imprenditori di fiducia delle fazioni Schiavone e Russo del clan dei Casalesi. Il provvedimento fu notificato ad altre 4 persone tra cui due imprenditori proprietari di quote in due delle società sotto sequestro. Si tratta della moglie di Pezzella, Cesarina Ruggiero, della cognata Anna Maria Ruggiero, titolare di quote della società Edilservice, Carlo D’Amore e Anna Maria Di Lecce della società Comed. Ad eseguire le operazioni sono stati i finanzieri. Le fiamme gialle hanno dato seguito a un provvedimento di sequestro emesso dalla Sezione per l’applicazione delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, su richiesta della Procura Dda di Napoli. I sequestri sono stati eseguiti a Casal di Principe, Caserta via Patturelli, Caserta San Leucio, Sessa Aurunca, Caserta via Catauli a Sala, via Battisti, Vasto in provincia di Chieti, per quanto riguarda case e terreni. Per le quote societarie invece i sequestri hanno riguardato quote societarie della Marrel, della Esa Costruzioni, della Ufita in liquidazione, tutte con sedi a Caserta; della Unimpresa Costruzioni di San Marcellino, della IP Immobiliare di Santa maria Capua Vetere, della RR Immobiliare e della Alento C ostruzioni di Caserta, della Edilservice, Fiesole Re e Generali Costruzioni Erta, Polo srl di Caserta, Spm di Caserta, Rce Costruzioni in liquidazione e Consorzio Archè di Caserta. Sotto chiave anche sette autoveicoli della Marrel. Alla base del provvedimento vi sono plurimi elementi di fatto idonei a fondare un giudizio di pericolosità sociale qualificata dell’imprenditore casertano e a far ritenere che il suo patrimonio (e quello del suo nucleo familiare) si sia formato e sia stato incrementato negli anni grazie ad attività illecite. Rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso e condannato in primo grado per reati di corruzione e di turbativa d’asta a seguito di indagini condotte anche dai carabinieri, Pezzella è ritenuto appartenere, sin dal 2000, a un ristretto gruppo di imprenditori di fiducia delle fazioni Schiavone e Russo del clan dei Casalesi. Raffaele Pezzella fu definito dal collaboratore di giustizia Antonio Iovine molto legato a Giuseppe Russo. Di Pezzella e Iorio ha parlato il collaboratore di giustizia Francesco Zagaria.
Il Gip: Cappello fece finti sorteggi
Dopo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Zagaria, il nome di Pietro Cappello fu iscritto dal pm della Dda di Napoli nel registro delle notizie di reato. Era il 13 luglio del 2020; Nove giorni dopo nei suoi confronti fu autorizzata l’attività di intercettazione telefonica. E’ coinvolto in tre episodi. Il primo si sarebbe verificato nel novembre del 2019; per lui, in concorso con Raffaele Pezzella, Tullio Iorio e Carmine Petrillo, l’ipotesi di reato messa a punto dal gip del tribunale di Napoli è quella di turbata libertà degli incanti con l’aggravante di aver favorito il clan dei Casalesi. Nelle esigenze cautelari però per Cappello il gip non ha ravvisato l’aggravante del 416bis, che è stata esclusa. Un altro episodio contestato sarebbe quello avvenuto un anno dopo, sempre al Comune di Calvi Risorta. Coinvolto sempre Cappello, Pezzella, Iorio e questa volta Carlo D’Amore. Anche in tale secondo caso il pm ravvede nell’ipotesi di reato per Cappello l’aggravante mafiosa, poi esclusa dal gip nelle esigenze cautelari. Un terzo episodio è quello del falso ideologico in atto pubblico; episodio, quello avvenuto tra il 14 novembre del 2019 e il 15 ottobre del 2020, che mette a fuoco il ruolo precipuo di Cappello. Per tale contestazione infatti, avrebbe agito da solo. Il primo dei due ipotizzati episodi di turbata libertà degli incanti riguarda l’affidamento dei lavori di adeguamento e manutenzione straordinaria della viabilità comunale interna e di collegamento verso due strade sovracomunali, la stradale statale 6 e la strada provinciale 194. Il secondo episodio invece riguarda l’affidamento dei lavori di ristrutturazione edilizia mediante adeguamento sismico, efficientamento energetico e riqualificazione urbana del complesso scolastico Cales. La terza ipotesi di reato per Cappello, quella di falso in atto pubblico, consiste per il gip nella falsa attestazione dell’aver realizzato un sorteggio di 15 ditte mediante il programma informatico denominato “Quaderno di epidemiologia del prof. Ezio Bottarelli” mentre in realtà tale sorteggio non era in sostanza, “affatto avvenuto, avendo il Cappello manomesso il programma di estrazione, inserendovi numeri (identificativi di alcune ditte tratte dall’elenco inviato da Asmel) tali da far risultare come formalmente sorteggiate le ditte indicategli da Raffaele Pezzella” scrive il gip. I reati sarebbero stai commessi da Cappello, che fu presidente del Consorzio Asi (eletto nel 2009), attuale dirigente al Comune di Cesa, in veste di ausiliario tecnico del responsabile unico del procedimento per l’appalto dei lavori stradali e Rup della gara per le scuole.
Amministratori e contabili delle società di comodo e l’incontro a 3 con il sindaco
Per mettere in atto la loro strategia utilizzavano alcune società di comodo. Loro, Tullio Iorio e Raffaele Pezzella, già nei guai giudiziari per reati connessi alla camorra, stando a quanto sostiene il gip avrebbero messo in piedi delle società facendo figurare amministratori per turbare gli affidamenti dei lavori. Carmine Petrillo è amministratore unico di Cgs srl. Essendo legittimato ad operare sul conto di tale società, Petrillo prelevava con ben 65 operazioni la somma pari a 39mila euro; decise anche 14 bonifici in favore della società Parking group “per prestazioni oggettivamente inesistenti” scrive il gip. I bonifici in questione ammontano a 443mila euro. Lo scopo di tale movimentazione di danaro era quello di “ostacolare in concreto l’identificazione della loro provenienza delittuosa” scrive il gip, “essendo transitate tali somme nella disponibilità di altri soggetti”. Giuseppe Napoletano invece della Cgs srl era geometra e contabile per conto di Iorio e Pezzella. In tale veste, non potendo operare direttamente sui conti in quanto non autorizzato, avrebbe ordinando a Petrillo le 65 operazioni di prelievo di contante e l’esecuzione dei 14 bonifici. Carlo D’Amore invece era l’amministratore fittizio della società Comed srl che in realtà era di per la Dda di Napoli di Iorio e Pezzella. Proprio la Comed fu la società scelta dal consorzio Energos (riconducibile a Pezzella) che si era aggiudicato i lavori per la scuola, per realizzare i cantieri stessi. Nella parte dell’indagine riguardante l’affidamento dei lavori alla Cgs il gip ripropone una parte delle indagini che riguardarono i cugini Francesco e Giuseppe Verazzo (non indagati nell’inchiesta che ha portato agli arresti di ieri). Il pm della Dda di Napoli ha dato rilevanza a quelle registrazioni audio effettuate da tale Francesco Verazzo con il proprio telefono cellulare. Da quelle registrazioni, si legge nell’ordinanza di ieri, Francesco Verazzo era stato promesso da Giovanni Lombardi, sindaco del Comune di Calvi Risorta (non indagato nell’inchiesta e innocente fino a prova contraria), che la sua azienda sarebbe risultata vincitrice di una gara di appalto indetta dl Comune. Per assolvere a tale impegno, Verazzo aveva avuto un incontro con lo stesso sindaco e Cappello nel corso del quale i due gli consegnarono una pen drive contenente tutti i documenti per parteciparvi. Considerando che tale registrazione riguardante una vicenda del recente passato, è avvenuta l’11 dicembre del 2019, “è da ritenersi che essa si riferisca proprio all’appalto conferito alla Cgs per l’adeguamento e la manutenzione straordinaria delle strade” scrive il gip. Nonostante l’impegno assunto nei confronti di Verazzo, l’amministrazione comunale senza avvertirlo aveva poi adottato un criterio, quello con la gara con ribasso con la media, che lui, Verazzo, non sarebbe stato in grado di seguire. “Per risarcire Verazzo del ‘torto’ subito, il sindaco Giovanni Lombardi gli aveva garantito la vittora in una successiva gara indetta dal Comune” scrive il gip. Il dato viene ricordato nell’inchiesta non perché abbia rilevanza giudiziaria per il sindaco e Verazzo quanto per meglio tratteggiare la figura di Piero Cappello. “Da tale vicenda si ricaverebbe che Cappello, dominus esclusivo delle procedure di appalto, da un lato offre la disponibilità ad alterare le procedure (ad esempio impegnandosi insieme al sindaco con Verazzo) e poi finanche realizza tali manipolazioni senza rispettare gli impegni assunti e in contrasto con le indicazioni del sindaco (ad esempio, facendo risultare vincitore la Cgs” scrive il gip. Ipotesi tutta da dimostrare.
Alla camorra il 40% diviso tra Schiavone e Bidognetti
Per il collaboratore di giustizia Vincenzo D’Angelo ci sono pochi dubbi: Tullio Iorio e Raffaele Pezzella davano soldi alle famiglie del clan. D’Angelo, ex esponente della cosca dei Bidognetti, parla anche della Cgs, la società coinvolta nell’indagine che ieri ha portato in carcere Pezzella e Iorio. D’Angelo ha sostenuto come per conto di detta impresa operava la Ic Immobiliare. D’Angelo si occupava del settore della ragioneria. Stando a quanto da lui sostenuto quando la Cgs vinceva un appalto in una zona di pertinenza dei Casalesi versava il 2% ai Bidognetti e il 2% agli Schiavone. “Sono a conoscenza di tale circostazna in quanto io ero l’addetto alal contabilità” aggiunge D’Angelo. Era quella dunque la percentuale che sugli importi aggiudicati alle ditte andava nelle tasche delle famiglie della camorra. Per D’Angelo, “le somme per contanti venivano reperiti da Cgs oppure mediante prelievi per contanti a seguito di operazioni false fatture oppure facendo dei bonifici su conti correnti che noi del clan indicavamo e che poi provvedevamo a prelevare per contanti con successiva consegna, sempre in contanti, a noi”. D’Angelo conosce bene le dinamiche delle famiglie Schiavone e Russo. Ai Casalesi dunque andava il 4% suddiviso in parti eguali agli Schiavone e ai Bidognetti. Un vorticoso prelievo di soldi contanti dopo l’aggiudicazione dei lavori dunque perché come da tradizione purtroppo consolidata, nelle mani delle famiglie dei capi della cosca i soldi dovevano contanti, in banconote.
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