BRUXELLES – Il primo ministro belga Charles Michel ha annunciato le sue dimissioni dieci giorni dopo che il suo principale partner di coalizione è uscito dall’esecutivo. Lasciandolo alla guida di un governo di minoranza.
Il primo ministro belga si dimette
Michel, che è entrato in carica nell’ottobre del 2014, ha perso il sostegno della New Flemish Alliance (N-VA), contraria al Global compact, il patto Onu sulle migrazioni. Le dimissioni arrivano a due giorni dalle manifestazioni contro il testo nel centro di Bruxelles degenerate in scontri. Con la polizia costretta a usare gas lacrimogeni e idranti per ristabilire l’ordine.
Bufera sul Global compact, Michel lascia l’incarico
Dopo un dibattito in Parlamento in cui i partiti dell’opposizione hanno rifiutato di prestare il loro sostegno per consentire al governo di continuare a lavorare fino alle elezioni legislative di maggio del prossimo anno, con i socialisti e gli ecologisti che hanno annunciato una mozione di sfiducia, Michel ha annunciato che avrebbe lasciato andando “immediatamente dal re”. Re Filippo lo ha ricevuto ma ha fatto sapere che terrà consultazioni prima di decidere se accettare le dimissioni.
I nazionalisti spingevano sui cambiamenti costituzionali
I nazionalisti fiamminghi della N-VA, guidata dal potente sindaco di Anversa, Bart De Wever, aveva avanzato richieste politiche in cambio dell’appoggio al governo Michel II e alla legge di bilancio, bollate dal premier come “inaccettabili”. In particolare su possibili cambiamenti costituzionali. L’N-VA, la prima forza politica della Camera con 31 deputati su un totale di 150, ha ritirato il suo sostegno alla coalizione. Alla vigilia della decisione di Michel di approvare il patto sulle migrazioni a nome del Belgio, il 10 dicembre a Marrakech.
Nonostante il suo carattere non vincolante, il testo, inizialmente sostenuto da tutta la coalizione, che comprendeva anche liberali e cristiano democratici, a fine ottobre è stato osteggiato dai nazionalisti fiamminghi. Perché, sostengono, avrebbe spalancato la strada alla perdita di sovranità degli Stati firmatari nel definire la propria politica migratoria.
(Lapresse/AFP)