Bertinotti: “Renzi irrilevante La sinistra istituzionale è morta”

“La crisi di agosto il punto più basso della politica italiana”

CASERTA – Altro che sinistra al governo. Della storia politica erede della tradizione socialista, comunista e del movimento operaio, nelle istituzioni non c’è più alcuna traccia. A dirlo è Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera e leader storico di Rifondazione Comunista, che denuncia la deriva conservatrice dell’intero arco parlamentare e una politica sempre più distante dal popolo. Lontano dalle istituzioni dal 2008, Bertinotti derubrica la decisione di Matteo Renzi di lasciare il Partito democratico a semplice separazione che interessa all’ex segretario e a pochi altri. Irrilevante. Poi auspica la rinascita di un antagonismo capace di opporsi a quello che definisce un capitalismo totalitario principale causa di diseguaglianze che non fanno altro che alimentare violenza e spezzare ogni possibilità di sviluppo della società.

Presidente, Leu ha deciso di entrare far parte del governo con Pd e Movimento 5 Stelle. E’ una scelta che condivide?

Non faccio parte di Leu, ogni forza politica si comporta come ritiene e non tocca a me fare il censore. In ogni caso trovo che la vicenda della crisi di agosto sia stata il punto più basso della politica italiana. Siamo in una fase drammatica, violenta, del dibattito, quando invece sarebbe più utile ragionare sul tema della crescita e la creazione di un diverso modello di sviluppo.

Ritiene che questo nuovo assetto possa essere un punto di partenza verso le prossime elezioni, a cominciare dalle Regionali in Campania?

Punto di partenza verso dove? Non vedo la direzione di marcia. Vedo, piuttosto, un’emergenza e un governo nato per affrontarla. Il che vuol dire che la politica è sostanzialmente fuori gioco. Poi naturalmente da cosa nasce cosa, è chiaro. Il principe è diventato il governo, non sono più i partiti che fanno il governo, ma l’esatto contrario. La calamita ormai è il potere e, certo, è possibile che questo schema venga riproposto anche alle Regionali. Di sicuro, però, non risponde a un criterio politico. Carlo Levi scriveva di crisi perenni che rendevano incerto il destino della società. E’ quello che succede oggi, in un momento che possiamo definire di crisi e con la politica che si chiude a riccio nel gioco degli scacchi, senza capire che è questo il tempo in cui trovare le parole per costruire un’energia vera, non per limitarsi alla propria personale partita.

Non sono più i partiti che fanno i governi, ma oggi ci sono anche forze politiche che contribuiscono a formare un esecutivo e poi vanno in frantumi. E’ il caso del Pd che oggi fa i conti con l’addio di Matteo Renzi. Che ne pensa?

Nulla. Mi sembra irrilevante. Renzi e gli altri sono tutti figli di una politica dimezzata. Si parla di scissione, ma bisognerebbe prima comprendere il valore di questo termine. C’è stato un tempo in cui si definivano così le separazioni traumatiche all’interno dei partiti. Era una parola che evocava la nozione di eresia, scisma, erano il prodotto di un evento drammatico, che coinvolgeva il popolo. L’ultima è stata quella nel Pds, con la nascita di Rifondazione comunista, e prima ancora c’è stata quella del Psi. La scissione era un dramma che divideva amicizie, famiglie, perché aveva a che fare con un principio identitario. Oggi, invece, è un semplice divorzio, che come nella vita civile può essere amicale o conflittuale ma in ogni caso riguarda solo le persone che si separano.

Manca un popolo, ormai, alle spalle del Pd?

Certo, e quindi manca un dramma, in questo caso. Non c’è alcuna scissione. La politica è lacrime e sangue oltre che sorrisi. Non vorrei usare la formula di Rino Formica ‘la politica è sangue e merda’, però in fondo si tratta di questo. E se si toglie anche il sangue…

Basterà fare dei passi indietro sui decreti sicurezza, a questo governo, per potersi dire alternativo a quello formato da 5 Stelle e Lega?

Assolutamente no. La mia opinione è radicale, non servono toppe. Non credo minimamente in questi governi, perché sono tutti prigionieri della stessa situazione. L’elemento dominante è quello della stabile instabilità, un ossimoro che in questo caso rende l’idea. Sono governi allo stesso tempo sovrani e impotenti, principi e succubi. Sono giganti dai piedi di argilla che diventano una prigione per le forze politiche. Tutti i partiti, una volta entrati in questo meccanismo, ne sono usciti trasformati. I 5 Stelle erano andati al governo per cambiare tutto, ma a parte la confusione, la violenza verbale, la vicenda dei migranti, in sostanza sono riusciti a modificare un bel niente. Resta, quindi, ad oggi un quadro istituzionale che contrappone i neoconservatori e l’estrema destra, quello che in Francia avviene con il duello tra Macron e Le Pen e in Italia tra Conte e Salvini. Manca sul campo una forza di reale alternativa.

La Sinistra per tornare decisiva da dove dovrebbe ripartire? Oppure è morta, come ebbe a dire tempo fa?

Dovrebbe ripartire dal conflitto. La Sinistra istituzionale è morta, quella del futuro potrà nascere solo dalla rivolta, da ciò che cresce fuori dal recinto della politique politicienne, fuori dall’orbita del governo e della governabilità. C’è incomparabilmente più politica nei gilet gialli in Francia che in tutte queste forze di governo in Italia. Ci sono assemblee che esprimono nuove forme di democrazia, di economia sociale. E’ lì che nasce l’alternativa. Anche in America la sinistra utilizza termini forti, con riferimenti a una drastica politica fiscale o con parole di fuoco contro le diseguaglianze come nel caso della Cortez. La Sinistra può rinascere dalla radicalità, dal protagonismo nella società da interpretare in una fase di crisi della democrazia rappresentativa. Queste esperienze non sono generose e fruttuose per caso, anche riescono ad opporsi a un attuale principio di governabilità diventato soltanto forma sostanzialmente conservatrice.

Liberi e Uguali rispetta, a suo dire, la vocazione del non appiattire culturalmente le diversità, tipica della sinistra, oppure il concetto di uguaglianza è diventato totalmente centrale in questa fase politica e sociale?

Le ripeto, penso non ci sia proprio una sinistra nella attuale rappresentanza politica. Ormai è un’area politica che vive nella società, in forme più o meno definite, come resistenza e valorizzazione di una storia, ma non esiste più nella rappresentazione delle attuali forze politiche. Il filosofo Norberto Bobbio ha più volte fatto notare come la Costituzione italiana sia fondata su un’idea di democrazia che fa diretto riferimento all’uguaglianza, principio centrale anche per Marx e Proudhon. Una tradizione ereditata anche dalle forze politiche che hanno scritto la Costituzione. Poi con la crescita del movimento operaio hanno assunto forza altre pulsioni, basti pensare all’ecologismo, che hanno fatto comprendere come il concetto non fosse esaustivo, facendo nascere istanze capaci di assecondare e valorizzare le diversità. Tutto questo prima che si producesse la grande sconfitta del movimento operaio, con le forze conservatrici che hanno costruito le società della diseguaglianza. Così il nuovo capitalismo ha ritrovato la sua vocazione totalitaria, ciò è incompatibile con la democrazia e l’ha di conseguenza uccisa. Ecco perché serve ritrovare il valore della rivolta. Non c’è bisogno dell’adesione a questa o quella quella forza politica, bensì di una critica a ciò che genera le diseguaglianze, ovvero il capitalismo finanziario globale.

Non si può, oggi, non registrare l’avanzata della Lega di Matteo Salvini. La ritiene un pericolo?

Salvini fa parte di una cultura compattamente reazionaria e per me inquietante. Anche perché la sua linea guida sul terreno della democrazia è quella della fine dello stato di diritto e la costruzione di quella che un suo maestro come Orban, che è più colto di lui, chiama democrazia illiberale. Salvini è capace sul terreno propagandistico quanto incapace su quello della politica.

Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, da un lato cerca di conquistare il consenso di quella sinistra movimentista e arcobaleno che anche lei ha appoggiato in passato, dall’altro dialoga con tutte le forze politiche dell’arco parlamentare. Che idea ha di lui?

Quando non si è in campo si ha la libertà di non giudicare ciò che fanno gli altri. De Magistris fa il suo percorso. Pensando a Napoli, in ogni caso, mi viene da ricordare la storia di tanti importanti leader politici, a cominciare da Antonio Bassolino.

Lei si è avvicinato alla fede, ha soggiornato in monastero e poi ha sviluppato un rapporto forte con Comunione e Liberazione. Oggi si definisce un credente?

No. Il fatto che io abbia un grande rispetto e interesse per la fede non mi rende tale. Anche Gandhi riteneva, lo cito modestamente, che un non credente nel mondo contemporaneo sia obbligato a interessarsi ai problemi della fede e della ricerca religiosa, perché questa ha un influenza diretta sulla vita delle persone. Del resto, ci sarà una ragione per la quale la Chiesa è stata la più capace di trovare la parole giusta in difesa dei fratelli immigrati.

La convincono le posizioni di Papa Francesco?

Credo che l’enciclica Laudato Si’ sia il documento più interessante di questi ultimi anni. Ha un valore politico, al di là di quello religioso, molto forte. Quando ero giovane e iniziavo il mio percorso politico, il Concilio vaticano II influenzava il corso della storia. C’era un grande Papa come Giovanni XXIII che sulla scena del mondo poteva dialogare con Kruscev, Mao, Kennedy: era quello era il livello degli interlocutori con i quali doveva confrontarsi. Provi a vedere adesso chi sono gli interlocutori di questo Pontefice.

Da Trump a Kim, fino a Salvini e Di Maio.

Non giudico le persone, ma è indubbiamente calata la statura, la densità della politica rappresentata dai leader. Quegli uomini erano grandi perché ognuno di loro aveva un’idea del mondo alla quale facevano corrispondere atti concreti. Se vuole può chiamarla ideologia.

Ha qualche rimpianto?

No, assolutamente. La vita va vissuta sempre guardando al futuro. E’ come se avessimo un bagaglio con cui affrontare il viaggio che contiene cose buone e meno buone, nella vita pubblica come in quella privata. Non solo non ho rimpianti, ma posso dire di aver una vita politica fortunatissima: ho potuto vivere la stagione della grande e concreta speranza, della speranza che diventa pratica con una ricerca politica che sfocia nel ciclo di lotte operaie e studentesche dagli anni Sessanta e Settanta. Ho visto come gli operai trasformatisi in classe possono cambiare loro stessi e il mondo.

Un suo auspicio per il futuro di questo Paese.

La rinascita dell’antagonismo. E’ l’unica alternativa possibile.

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