L’intervista. Boccia: “Altro che Pnrr, si risolva prima la crisi energetica o andremo a schiantarci”

L’ex presidente nazionale di Confindustria in redazione lancia l’allarme: economia a rischio

Foto Richard Morgano/LaPresse

NAPOLI – Ci sono interviste delle quali conosci il finale ancor prima di cominciare. Altre, invece, che prendono una piega diversa fin dalla prima domanda, rivelando una realtà inaspettata. Quando Vincenzo Boccia, fino al 2020 presidente nazionale di Confindustria, ci ha annunciato la sua visita in redazione, ho subito pensato di confrontarmi con lui su di un tema che è in cima all’agenda politica da mesi, il Piano Nazionale di ripartenza e resilienza varato dal premier Mario Draghi.

“Un’opportunità senza pari” è la definizione più ‘asciutta’ col quale ci riferisce solitamente alla dotazione di 191,5 milioni di euro che – sono le parole che usa il governo “lascerà una preziosa eredità alle generazioni future, dando vita a una crescita economica più robusta, sostenibile e inclusiva”. “Con Italia Domani il Paese avrà una pubblica amministrazione più efficiente e digitalizzata – si legge sul portale dedicato al Pnrr – I cittadini italiani beneficeranno di trasporti più moderni, sostenibili e diffusi. Gli investimenti e le riforme di Italia Domani renderanno il Paese più coeso territorialmente, con un mercato del lavoro più dinamico e senza discriminazioni di genere e generazionali. La sanità pubblica sarà più moderna e vicina alle persone”. Con queste premesse, chiedere a chi, come Boccia, ha guidato gli industriali italiani quali siano le prospettive di crescita del nostro Paese mi sembrava il minimo. Ciò che ci ha detto rivela che le cose sono molto, molto diverse. Perché se prima non si risolve la crisi energetica che stiamo attraversando, nessun piano salverà la nostra economia.

Presidente, il governo ha appena tirato le orecchie ai Comuni che sono in ritardo nella presentazione dei progetti da finanziare col Piano nazionale di ripartenza e resilienza. Dal conto loro gli enti pubblici lamentano la mancanza di personale per poterli anche solo pensare, questi progetti. Insomma, se abbiamo i soldi ma non le idee, siamo di fronte a un’opportunità o a una rogna?

Siamo semplicemente davanti agli aspetti più macroscopici dell’antipolitica che si è impossessata del nostro Paese. Quando i Comuni dicono di non avere personale è perché sono stati via via svuotati di competenze, che ora invece sono indispensabili. Il dibattito non dovrebbe riguardare solo il tempo che impieghiamo a spenderli, questi fondi, ma quali effetti realizzano sull’economia reale e sulla società civile italiana. Qual è la sostenibilità ambientale, economica e sociale di tutto quello che facciamo? Perché abbiamo tutta questa fretta di utilizzarli? A questo proposito, credo sia illuminante una frase di Papa Wojtyla rivelataci da Joaquin Navarro Valls durante un convegno: “Bisogna distinguere le cose urgenti dalle cose importanti”. Ecco, io le dico che il Pnrr è importante ma non urgente. Prima c’è da risolvere un problema enorme: il caro energia. In un anno abbiamo avuto aumenti del 375%, lo può vedere chiunque dalle bollette di gas e luce che sta ricevendo. Poiché i redditi sono rimasti invariati, però, per i consumatori come per i produttori, corriamo seriamente il rischio di portare alla paralisi il sistema industriale italiano. Soprattutto perché nel resto dell’Europa questi aumenti non ci cono stati, dunque non possiamo essere più concorrenziali. Se noi non affrontiamo questo problema in tempo tutte le infrastrutture che realizzeremo grazie al Pnrr saranno inutili.

In che senso? Ci spieghi in maniera pratica e semplice perché.

Il nostro paese vive di export. Con l’aumento delle materie prime, e quindi dei costi di energia elettrica e gas, oggi gli imprenditori faticano a produrre. Molti stanno riducendo, o addirittura chiudendo, perché è più conveniente che stare aperti. I prodotti che vendono all’estero sono diventati troppo cari, perciò la Francia, la Germania, chi di solito acquista qui, sta scegliendo chi offre prodotti che costano meno. Sugli scaffali dei supermercati gli amenti sono tangibili, dunque il consumatore comprerà meno cose per rientrare nel suo budget. Possiamo anche realizzare strade, piazze, il ponte sullo Stretto e quello che vogliamo, ma chi avrà più interesse a venire a fare impresa in Italia se la situazione è questa? Qualcuno ha detto che il problema energetico è quantificabile in tre o cinque miliardi di euro. Niente di più falso. Mancano all’appello 28 miliardi di euro per tornare almeno a come stavamo prima. Come li troviamo, quando li troviamo? Magari con una politica fiscale diversa e con l’indipendenza energetica. Ricordiamoci che non esiste paese democratico al mondo che senza l’indipendenza energetica e senza l’indipendenza tecnologica possa difendere la sua democrazia.

È un problema vecchio questo…

Si ritorna a parlare di politica industriale che non è questione degli industriali ma è ‘la’ questione industriale del Paese. La Francia lo ha capito e Macron lo sta facendo. “Prima le fabbriche, poi le ca-se”, disse il più grande sindacalista italiano, Di Vittorio, negli anni Cinquanta. Se hai lavoro, del resto, puoi costruirti una casa, non il contrario. Non è un caso che il primo articolo della Costituzione reciti “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. E’ col lavoro che si fa la coesione, è col lavoro che l’emergenza energetica non diventerà emergenza sociale. Solo col lavoro possiamo crescere, poi con tutte le cose meravigliose che faremo col Pnrr.

Sta dipingendo una realtà a tinte fosche che nessuno finora ha evidenziato. Perché non se ne parla?

Gli imprenditori sono preoccupati del fatto di dover prima o poi spiegare ai loro istituti finanziari come reagiranno a questi incrementi dell’energia. Poiché nel 2021 c’è comunque stata una crescita dell’export si tende ad attendere nell’ottimismo, sperando che tutto si calmieri. Ma la questione finanziaria è strutturale, non congiunturale. Aggiunga che finora siamo stati ‘distratti’ dalle vicende del Quirinale e della variante Omicron ed ecco perché non se ne parla. Mi domando: ma c’è una cosa peggiore del caro energia? Io credo che con una bolletta di 36 miliardi di euro rispetto ai soliti 8,8 tutte le famiglie se ne siano accorte. L’Italia è un Paese meraviglioso: si sciopera per il cuneo fiscale e non per le famiglie che tra poco saranno alla fame. C’è un torpore economico pericolosissimo per-ché già a breve potremmo pagarne le conseguenze.

Ha in mente una soluzione?

Comincerei da una task force sulla questione energetica, che debba tener conto di tre elementi: economico, sociale, ambientale. La sostenibilità ambientale non è antitetica a quella economica, questo è importante ribadirlo.

Come siamo arrivati a questo punto?

Paghiamo la politica energetica del Paese. I francesi, che in questi anni hanno usato il nucleare, oggi possono permettersi l’indipendenza energetica e una politica economica che favorisce gli imprenditori. Noi abbiamo detto no al nucleare, alle trivelle in Basilicata, alla Tap in Puglia e oggi paghiamo bollette tre volte più care di un anno fa. Ora occorre sedersi laicamente a un tavolo: come abbiamo affrontato l’emergenza Covid così va affrontata l’emergenza energia. Che probabilmente è peggio.

Quando, due anni fa, fummo travolti dal Coronavirus, era in carica come presidente di Confindustria. Fece delle stime, ci disse che il Pil sarebbe calato del 6%. Oggi riesce a fare previsioni?

In questo caso è più complicato, soprattutto perché il punto non è solo l’azienda che chiude o che riduce la produzione. Il nodo sono le filiere, perché se un’azienda rinuncia a prendere una commessa non è fuori solo da quella produzione ma dall’intera filiera. E se si arriva al punto che il compratore modifica le sue abitudini d’acquisto, non c’è più verso di tornare indietro.

Sarà il caso che il presidente Draghi, allora, si faccia carico del problema. Siamo in buone mani, secondo lei?

Me lo auguro. Sono un ottimista della volontà, diceva Gramsci. Anche perché non abbiamo alternative.

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