Bolivia, uccisi 5 coltivatori pro Morales. Lui dal Messico: “È un genocidio”

Foto Andrieu / AgencePeps / Reporters Andrieu / LaPresse in foto Evo Morales

LA PAZ(BOLIVIA) – È caos in Bolivia dopo che Evo Morales è stato costretto dall’esercito a dimettersi dalla presidenza e ha chiesto e ottenuto asilo politico in Messico. Cinque sostenitori del primo presidente indigeno della storia del Paese, coltivatori di foglie di coca, sono stati uccisi in scontri con polizia ed esercito nella zona di Cochabamba, roccaforte politica di Morales. Lui, dal Messico, ha lanciato un allarme dai microfoni della Cnn: “È un vero massacro, è un genocidio, deploro tutte queste morti”.

L’Onu, per bocca dell’Alta rappresentante per i diritti umani Michelle Bachelet, ha denunciato un “uso sproporzionato della forza da parte di polizia ed esercito” e ha avvertito del rischio che la crisi vada “fuori controllo” se le autorità non la gestiscono “con attenzione, rispettando le norme e gli standard internazionali che regolamentano l’uso della forza e nel pieno rispetto dei diritti umani”.

Il tutto mentre Jeanine Añez, la senatrice di destra autoproclamatasi presidente ad interim dopo le dimissioni di Morales, ha di fatto minacciato il predecessore affermando che se tornerà in patria “dovrà rispondere alla giustizia” per le presunte irregolarità nelle presidenziali del 20 ottobre, nonché per “accuse di corruzione”. Anez, 52 anni, ha dichiarato inoltre che Morales è “partito da sé” per il Messico, rispondendo così al fatto che l’ex presidente aveva affermato di essere andato via perché la sua vita era in pericolo.

Evo Morales, 60 anni, un aymara, è stato il primo capo dello Stato indio della storia del Paese, assumendo l’incarico nel 2006. A seguito del primo turno delle presidenziali del 20 ottobre si è proclamato vincitore dopo un blackout di diverse ore nel conteggio dei voti che lo davano in testa a testa con il rivale Carlos Mesa: quando il conteggio dei voti è tornato online il suo vantaggio era tale che sembrava potergli consentire di evitare il ballottaggio, ma sono scattate le contestazioni, talvolta molto violente. Infine un ammutinamento all’interno della polizia e l’abbandono da parte dell’esercito lo hanno costretto a lasciare e Morales non smette di denunciare quello che definisce “un colpo di Stato”.

Anche la Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh), come l’Onu, ha denunciato un “uso sproporzionato della forza” da parte di esercito e polizia, in particolare con l’utilizzo di armi da fuoco per reprimere le manifestazioni. Il comandante della polizia di Cochabamba, il colonnello Jaime Zurita, che ha confermato un centinaio di arresti, si è difeso sostenendo che i manifestanti “portavano delle armi, fucili, bombe molotov, bazooka artigianali e ordigni”.

“Abbiamo informazioni secondo cui almeno 17 persone sono morte nell’ambito delle proteste, comprese 14 solo negli ultimi sei giorni”, sottolinea dal canto suo l’Alta commissaria Onu, aggiungendo che la situazione è esacerbata dai numerosi arresti e fermi, con oltre 600 persone fermate dal 21 ottobre, molte durante gli ultimi giorni.

I pro Morales mantengono la pressione alta anche a La Paz, capitale amministrativa, dove sono scoppiati nuovi scontri. Migliaia di dimostranti, che portavano la coloratissima bandiera indigena andina Wiphala e scandivano lo slogan ‘Evo ritorna’, sono stati dispersi da polizia ed esercito a colpi di gas lacrimogeni. Erano scesi a protestare dalla vicina città di El Alto, la cui maggioranza sostiene Morales.

La presidente ad interim di destra Anez ha denunciato la presenza di quelli che definisce “gruppi sovversivi armati” composti da boliviani e stranieri che sarebbero incaricati di sabotare la distribuzione di gas e di usare esplosivi per distruggere alcuni centri di produzione di idrocarburi. “Non bisogna dimenticare che Evo Morales ha ottenuto il 40% dei voti alle presidenziali”, ricorda il politologo Carlos Cordero, sottolineando che queste manifestazioni sono “l’espressione della lealtà” di certi strati della popolazione, perlopiù indigeni, verso Morales.

La nuova capa dello Stato ad interim ha voluto segnare un cambio di passo netto rispetto al predecessore, in particolare nelle relazioni della Bolivia con i vicini latinoamericani. La Paz ha così annunciato l’espulsione del personale diplomatico del Venezuela che rappresenta il governo del socialista Nicolas Maduro perché avrebbe dato prova di “ingerenza” negli affari interni della Bolivia. Una decisione che è giunta all’indomani del riconoscimento da parte di Anez dell’oppositore Juan Guaido come presidente ad interim del Venezuela, allineandosi a una cinquantina di altri Paesi fra cui gli Stati Uniti. Si tratta di una misura altamente simbolica visti i legami che univano Evo Morales al defunto presidente venezuelano Hugo Chavez (1999-2013), di cui Maduro è il successore.

Il governo post Morales, inoltre, ha annunciato che la Bolivia lascerà l’Alleanza bolivariana per le Americhe (Alba) che riunisce Cuba, Nicaragua, Venezuela e diversi Paesi dei Caraibi; nonché l’Unasur, creato nel 2008 su iniziativa di Chavez e dell’allora omologo brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva. (LaPresse/AFP)

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