LONDRA – Allibratori al lavoro sul futuro di Teresa May e Brexit che questa sera sono lì a giocarsi la seconda chance che potrebbe essere l’ultima spiaggia. Dopo aver rinviato il voto a dicembre, certa della bocciatura, stasera la premier britannica sottoporrà al Parlamento l’accordo negoziato con Bruxelles per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Ma tutto fa pensare che i parlamentari le diranno ‘no’.
L’ultima carta
Finora l’accordo è riuscito a unire in una opposizione trasversale sia i «fanatici» della Brexit pura, che lo considerano soft, sia i pro europei per i quali è al contrario un allontanamento troppo netto dall’Unione. Ieri May ha cercato di convincere i ribelli del suo partito agitando lo spettro del leader laburista Corbyn, pronto a chiedere la sfiducia: “Dobbiamo concentrarci su due cose: portare a termine la Brexit e tenere Jeremy Corbyn più lontano possibile da Downing Street”.
I possibili scenari
Ma se anche i suoi ultimi sforzi cadranno nel vuoto, quali sono gli scenari più probabili anche secondo gli allibratori
La bocciatura
In caso di bocciatura dell’accordo con Bruxelles, l’opzione di default è il no deal, l’uscita traumatica di Londra dalla Ue, senza nessun accordo. Questo perché la Gran Bretagna si staccherà automaticamente alla mezzanotte del 29 marzo. Sarebbe un esito disastroso per l’economia locale, con contraccolpi anche su quelle europee: si prevede una contrazione del Pil e un crollo della sterlina.
Tuttavia la fetta più euroscettica del partito Tory guarda con favore al no deal, perché vi intravede la possibilità di una rottura senza compromessi: per Boris Johnson sarebbe l’esito più fedele al referendum del 2016. Secondo questi conservatori gli allarmi sono parte di un progetto di disinformazione. A Westminster esiste una maggioranza trasversale di deputati intenzionata a impedire a ogni costo un no deal: ma non sono d’accordo sulle alternative, per cui resta la possibilità di un no deal «accidentale
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Il secondo referendum
All’estremo opposto si colloca la convocazione di un secondo referendum, che nelle intenzioni dei filoeuropei dovrebbe finire per rovesciare la Brexit. Fra i sostenitori sia esponenti conservatori che laburisti, ma per il momento sembra difficile che si trovi una maggioranza di consensi fra i deputati. Molti fanno notare che si tratterebbe di un tradimento della democrazia, visto che il popolo si è già espresso nel 2016: e un nuovo voto non farebbe che esacerbare le divisioni nel Paese, senza la certezza di mettere a tacere la diatriba. Decisiva a questo proposito sarà la posizione del partito laburista: il leader Jeremy Corbyn resta contrario a un secondo referendum e non intende revocare la Brexit. Ma la base del partito è a grande maggioranza filo-europea e reclama una nuova consultazione. Quella del secondo referendum non è più una ipotesi remota.
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L’uscita a metà
Una via intermedia è la cosiddetta opzione norvegese: in questo scenario la Gran Bretagna rimarrebbe in una situazione simile a quella della Norvegia, cioè fuori dalla Ue ma dentro il mercato unico e l’unione doganale. Una Brexit ultra-morbida in grado di attutire gran parte delle conseguenze dell’uscita dall’Unione. Non a caso questa opzione raccoglie un consenso trasversale fra una gran parte dei deputati ed è sostenuta anche da diversi membri del governo. Resta però difficile immaginare che un grande Paese come la Gran Bretagna possa acconsentire a diventare in sostanza uno Stato satellite dell’Europa: una condizione che può essere accettabile per una piccola nazione come la Norvegia, ma non per Londra. Inoltre l’opzione norvegese implica il mantenimento della libertà di circolazione: ma il voto per la Brexit è stato considerato soprattutto un no alla immigrazione incontrollata.
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