Carceri, dove la speranza è in cella d’isolamento

“Si trascorrono 23 ore su 24 in una cella completamente chiusa: c’è una sola ora d’aria al giorno e la socialità non esiste. Mi trovo tutto il tempo in una cella minuscola e senz’aria, tra gli scarafaggi, il vitto scarso, senza possibilità di comunicare, trattata come una bestia al guinzaglio”. Queste alcune delle parole con le quali Ilaria Salis ha descritto, in un memoriale, le condizioni di detenzione che ha dovuto affrontare in Ungheria. Una descrizione terribile alla quale si sono sommate le altrettanto inquietanti immagini dell’insegnante lombarda portata alle udienze in Tribunale con le catene ai polsi e alle caviglie. Oltre un anno di carcerazione preventiva. Pochi giorni fa le sono stati concessi i domiciliari. L’Ungheria ha difeso pubblicamente le proprie regole. Indegne, evidentemente, di un Paese entrato da vent’anni a far parte dell’Unione Europea. L’Italia ha alzato la voce a tutela di Ilaria Salis. La Sinistra l’ha candidata all’Europarlamento, il Governo di centrodestra si è schierato al suo fianco, intervenendo ai massimi livelli. Giusto. Giustissimo. Anzi, sarebbe opportuno anche portare la questione sul tavolo dell’Unione Europea. Ciò che l’Italia non ha fatto, però, è guardarsi dentro. Perché il nostro Paese, che dell’Ue è fondatore, ha purtroppo poco, troppo poco, da insegnare all’Ungheria. Le nostre carceri sono un inferno. Lo sono per i detenuti, lo sono per il personale che ci lavora. L’illuminato dettato costituzionale in materia è trattato come carta straccia. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, si legge all’articolo 27. E ancora: “E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”, recita l’articolo 13. La stella polare della Costituzione, però, resta lassù in cielo. Chi governa non la guarda. Oggi, come ieri. La quotidianità dei penitenziari italiani è fatta di suicidi, di rivolte, di aggressioni ad agenti della penitenziaria e personale medico, di risse, di droga che entra nelle celle in continuazione, di detenuti che denunciano violenze sui cui la giustizia sta tentando di fare luce, come nel caso di Santa Maria Capua Vetere. Nelle carceri italiane i detenuti sono troppi e il personale è largamente insufficiente. Altro che “trattamenti che devono tendere alla rieducazione del condannato”. All’inferno non c’è speranza di rieducazione. In Italia le celle sono occupate per il 119.8% della capienza disponibile, secondo gli ultimi dati Eurostat, senza contare i minori detenuti che sono in costante aumento. In Ungheria l’occupazione si ferma al 101.5%. La Campania è la seconda regione d’Italia per indice di sovraffollamento, nell’80% dei casi i detenuti passano 20 ore su 24 dietro le sbarre, non esistono unità di assistenza per la salute mentale. Manca tutto. Gli agenti della Penitenziaria affrontano turni massacranti, affrontano assalti alla loro incolumità praticamente ogni giorno e chiedono tolleranza zero. Personale e detenuti su fronti contrapposti all’interno di un microcosmo in cui anche la speranza è finita rinchiusa in una cella di isolamento.

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