CASERTA (cs) – Confermate le condanne inflitte in primo grado per il racket dei manifesti messo in atto da uomini del clan Belforte, che si è verificato durante la campagna elettorale per le Regionali del 2015. A pagare dazio è innanzitutto Pasquale Corvino, già vicesindaco di Caserta, più volte consigliere e fratello di Mirella, anche lei assessore nel capoluogo. Corvino, che si candidò nel 2015 a sostegno del candidato del centrodestra Stefano Caldoro, è stato condannato a 4 anni e 8 mesi di reclusione. Con lui, è stato condannato alla stessa pena anche l’ex sindaco di San Marcellino, Pasquale Carbone. Per entrambi il reato è quello di corruzione elettorale. Il verdetto della prima sezione della Corte di Appella ha confermato l’impianto accusatorio e le sentenze inflitte dal tribunale di primo grado. Confermata anche la condanna a 15 anni di carcere per Agostino Capone, fratello di Giovanni (già condannato nel medesimo processo ma celebrato in modalità ‘abbreviata’), ras dei Belforte a Caserta. Sei anni, invece, per la moglie, Maria Grazia Semonella. Sarebbe stato proprio il ras del clan, dal carcere dove era detenuto, a dare indicazioni al fratello Agostino per fargli presidiare il territorio e organizzare la campagna di affissione dei manifesti che si sarebbe ‘scatenata’ di lì a poco. Campagna che avrebbe favorito la ditta intestata alla moglie. Chi non si rivolgeva all’impresa del clan veniva intimidito o vedeva coperti i suoi manifesti nel giro di poche ore, facendo sapere alle vittime che, incaricando loro, non si sarebbe verificato il problema. Coinvolti nel racket anche Antonio Zarrillo (a cui è stata rideterminata la pena con le altre sentenze passate in giudicato per un totale di 27 anni di carcere), Roberto Novelli, Paolo Cinotti e Silvana D’Addio, condannati rispettivamente a 4 anni e 5 mesi, 2 anni e 10 mesi di carcere. Tutti e tre, hanno beneficiato di uno sconto rispetto alla sentenza di primo grado. Corvino e Carbone, però, non pagano per essersi rivolti agli attacchini dei Belforte ma per aver chiesto e ottenuto, almeno in parte, tramite la loro ‘intercessione’, voti in cambio di versamenti di denaro e altre utilità. A difendere gli imputati sono stati gli avvocati Vittorio Caterino, Romolo Vignola, Nello Sgambato, Roberto Garofalo e Francesco Liguori.
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