La politica italiana è in ebollizione. Sbuffa vapore come una vecchia locomotiva che si arrampica su irte rampe montuose. Sì, una vecchia locomotiva, più volte riassestata e riverniciata ma con ben impressi, tutti interi, sulla carcassa, i segni della lontana efficienza che fu. A bordo, un po’ in tutti i passeggeri – leggasi parlamentari – si coglie uno stato di disagio: un’ansiosa palpitazione che genera trambusti ed irrequietezza per il buon esito del viaggio. In loro regna la consapevolezza che buona parte del proprio futuro di rappresentanti del popolo e dell’agiata condizione che a questo status politico e personale si accompagna, dipenderà dal buon esito del “tour” che terminerà con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Il mezzo su cui viaggiano è alquanto logoro ed avrebbe richiesto non le sommarie riparazioni ed i rabberci a cui è andato soggetto nel corso dei decenni, quanto un radicale cambio del veicolo stesso. Sono ormai passati oltre settant’anni da quando fu messo sulle rotaie e da oltre quaranta si discute senza agire della necessità di ammodernarlo radicalmente nella sua struttura meccanica. La locomotiva, come si sarà già compreso, è la Carta Costituzionale che detta i tempi e le modalità del funzionamento delle Camere Parlamentari oltre alle procedure per legiferare e per eleggere, tra l’altro, il Capo dello Stato. E di anni ne sono passati oltre quaranta anche dall’insediamento della Commissione Bicamerale per la modifica della seconda parte della “Magna Carta” e della struttura stessa dello Stato, senza che, in tutto questo tempo, si sia arrivati a qualche risultato se non a quello che, con piccoli ritocchi, consente di trasferire dallo Stato alle Regioni alcune competenze su (vedi scuola, sanità e polizia locale). E’ pur vero che il popolo italiano, manifestamente propenso a cambiare le cose, ha bocciato per ben due volte le proposte di revisione della Costituzione, trasformando i referendum in una sorta di ordalia per sconfiggere politicamente i proponenti di turno (Berlusconi e Renzi) più che per bocciare le proposte di modifica. Fatto sta: siamo ancora alle prese con regole desuete ed una struttura dello Stato che mal si attaglia ad una democrazia moderna alla quale molti sembrano aspirare almeno nelle intenzioni. Eccoci dunque alla solita manfrina di dover procedere attraverso regole e vincoli per eleggere il nuovo inquilino del Quirinale, il garante delle leggi, il super partes della Repubblica Italiana. Superfluo dire che i politici più smaliziati e di lungo corso ben conoscono sia la strada maestra che le scorciatoie per giungere al traguardo. La questione quindi si continuerà a deciderla tra i capi di partito, quasi sempre simulacri di quelli veri ed intestati a loro stessi, secondo intese delle quali poco o niente sapremo, se non quel poco che i retroscenisti dei giornali riusciranno a disvelare. Eleggiamo direttamente il sindaci ed il presidente della Regione e non si comprende come non si possa eleggere, a suffragio universale, il Capo dello Stato. Sia ben chiaro che la riforma della Costituzione non è necessaria solo nel citato caso del voto popolare per scegliere l’erede di Sergio Mattarella. Molti dei compromessi che i costituenti seppero trovare per far quadrare il cerchio in una distinzione di blocchi contrapposti e quasi equivalenti, quello social comunista e quello cattolico e laico liberale, si sono infatti trasformati in autentiche palle al piede dello Stato. La nostra Magna Carta ha lacune in ampi campi di attualità a cominciare dalle libertà di impresa fino ai meccanismi di semplificazione degli assetti e dei servizi statali. Oltre che tortuoso, il percorso derivante dal dettato costituzionale è anche anacronistico laddove affidava alle forze politiche (quelle democratiche ed organizzate su base valoriale), ed ai gruppi parlamentari che le rappresentano a Camera e Senato, il ruolo di decisori indiscussi per giungere ad accordi ed alla designazione della persona che dovrà essere eletta. Costa dire che quelle entità politiche oggi sono praticamente scomparse, soppiantate da partiti personali e plastificati che trasformano il confronto in una discussione di condominio tra quattro gatti postisi a capo delle medesime forze. Una conventicola, insomma, che non rappresenta volontà democraticamente discusse e ratificate dagli organi al loro interno. Insomma: solo Dio potrà, alla fine sapere, dietro l’ufficialità e le affermazioni di rito, quali e di che natura saranno stati i patti ed i compromessi raggiunti in questa fase. Se questo sarà, come appare finora dalle cronache, ne verrà fuori un personaggio rotto alle esperienze politiche ed alle manovre di corridoio. Insomma, per dirla tutta, al momento, ancora e solo…Casini sul sommo Colle..