E’ stato il giorno di Vittorio Tomasone, comandante interregionale a Napoli dei carabinieri. E’ stato interrogato come teste nel processo sul caso Cucchi. Il generale organizzò una riunione con i militari che trattarono l’arresto del giovane geometra. “A tutti coloro che erano stati presenti nella vicenda dell’arresto di Cucchi – ha detto il comandante in aula – avevo chiesto di venire da me al Comando provinciale e, oltre a portare una relazione scritta, di dire quello che avevano fatto”.
Al centro del processo c’è il presunto depistaggio messo in atto dai militari dell’Arma sulle cause della morte di Cucchi.
Proprio le ipotizzate prove false e le omissioni prodotte dagli imputati avrebbero indotto in errore Angelino Alfano. Era il 3 novembre del 2019. L’ex ministro degli Interni al Senato, basandosi sulle annotazione dei carabinieri, dichiarò, ha detto in aula il pm Musarò, “il falso, lanciando accuse alla polizia penitenziaria”.
Le false annotazioni, ha sostenuto il pm, si concretizzarono tra il 26 e il 27 ottobre del 2009. Alfano doveva riferire del ‘caso’ a Palazzo Madama.
“Il ministro dichiara il falso. Stefano Cucchi è stato collaborativo, si omette il passaggio della compagnia Casilini e Cucchi al momento dell’arresto era già in condizioni fisiche debilitate”.
Il sostituto procuratore, inoltre, ha parlato di conclusioni già scritte in relazioni agli aspetti medico legali. “Ma arriveranno ufficialmente – ha chiarito – solo sei mesi dopo”. I militari avrebbero mentito anche sull’anoressia della vittima, “Cucchi non ha mai detto di esserlo”, ha affermato il magistrato. E l’attacco di epilessia menzionato non sarebbe mai avvenuto: “Non è vero”