Camorra e cemento, l’affare del clan bloccato dai ‘maranesi’

Le dichiarazioni raccolte dalla Dda del nuovo pentito dei Casalesi

Lapresse - Cronaca Casal di Principe (Caserta)

Terreni e cemento: parte del denaro che il clan ha guadagnato negli anni proviene dalle speculazioni edilizie. Nicola Schiavone, da luglio collaboratore di giustizia, alla Dda le sta raccontando una ad una. Come quella che sarebbe andata in scena a Casaluce nel 2006, con il presunto coinvolgimento dei fratelli Giuseppe e Pasquale Mastrominico.

“Di fronte al mobilificio Novarredo – ha raccontato il pentito – vi era un estensione di terreno. Il proprietario era Raffaele Giuliani (non indagato ed innocente fino a prova contraria, ndr.). I Mastrominico dovevano comprare l’area, anche con delle permute, sfruttando il fatto che Casaluce era zona di Antonio Iovine”.

Concretizzato l’acquisto successivamente si sarebbe dovuto passare al secondo step: dare il via alla realizzazione di appartamenti. L’operazione, agli occhi della cosca, appariva “interessante”.

“Pensai di realizzare una forma di intervento che riservavamo alle operazione di maggior rilievo. Non avremmo cioè solo facilitato l’iniziativa imprenditoriale con tutti i vantaggi connessi alle percentuali e subappalti riconosciuti dagli imprenditori, ma volevamo partecipare anche economicamente all’operazione con nostri finanziamenti”. E con Schiavone dovevano ‘investire’ pure Nicola Panaro e Antonio Iovine. Chi avrebbe dovuto tenere i rapporti con il Comune per le autorizzazione, ha aggiunto il figlio di Sandokan, “era Nicola Ferraro”.

Il collaboratore di giustizia al pm Alessandro D’Alessio, lo scorso dicembre, ha indicato anche chi si sarebbe occupato del cemento: “Decisi che una quota della fornitura fosse fatta proprio da Nicola Statuto. Era il riconoscimento che ritenevo giusto per imprenditori affidabili e puntuali. Se non ricordo male – ha chiarito Schiavone – fu proprio Panaro a propormi Nicola Statuto per le forniture di Casaluce”.
Se il business almeno su carta sembrava filare liscio, nella pratica si presentò un ostacolo che scombinò i piani del boss: l’ingerenza dei maranesi.

“L’operazione non andò in porto in quanto Giuliano, avuta la proposta dai Mastrominico, si rapportò con gli imprenditore Simeoli, da quali ci fece sapere di aver ricevuto una proposta migliore”.

A ‘benedire’ l’entrata in gioco dei costruttori di Marano, ha aggiunto Schiavone, fu Raffaele Bidognetti. “Lo comunicò in un incontro al quale partecipai con Nicola Panaro e Giuseppe Misso. I Simeoli erano di Marano e quindi conoscevano Francesco Di Maio detto Ciccio, esponente dei Bidognetti. Non dovendo essere più fatta l’operazione dai Mastrominico, noi ci tirammo fuori dalla partecipazione economica”.

I Casalesi non parteciparono più in modo diretto. “Ma mantenemmo le forniture, compresa quella del calcestruzzo e gli scavi”. E dai Simeoli la cosca avrebbe ottenuto “un riconoscimento economico”. “Se non ricordo male – ha affermato Schiavone – hanno sborsato una rata di 10mila euro al meno sino al 2007”.

Il 27 dicembre Schiavone, rispondendo alle domande del pm Maria Di Mauro, ha tracciato il presunto profilo criminale dei Simeoli. “Mi chiede se so che erano legati ai Nuvoletta o ai Polverino. Le dico – ha spiegato il pentito – che il gruppo era tutt’uno. I Polverino erano una conseguenza dei Nuvoletta. […] I Simeoli erano su Marano quello che i Mastrominico erano per noi rispetto al clan. Erano cioè imprenditori espressione dei rispettivi clan camorristici”.

Le dichiarazioni di Schiavone sono state depositate nel processo in Appello a carico di Pasquale e Giuseppe Mastrominico e dell’ex sindaco Enrico Fabozzi di Villa Literno, assistiti dagli avvocati Vittorio Giaquinto e Mario Griffo: i tre sono accusati di concorso esterno al clan dei Casalesi.

Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere in primo grado condannò i costruttori a 8 anni di reclusione ciascuno e a 10 il politico liternese.

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