Non c’è stato periodo politico, nella stagione che va sotto la denominazione di “seconda repubblica”, durante il quale non sia riemersa quell’eterna tentazione di ricostituire un centro politico. C’è stato chi si è affannato a proporre la riunificazione delle membra sparse, in tante direzioni, della Democrazia cristiana recuperando anche il famoso scudocrociato, sottraendolo alle eterne diatribe giudiziarie. Sono molti coloro i quali, in tutti questi anni, si sono cimentati in esperimenti di ricostruzione di un centro moderato, descritto come un vago e vuoto luogo geometrico, in antinomia politica e programmatica sia alla destra che alla sinistra. Una vaghezza senza alcuna attrattività elettorale e che spesso è servita solo per praticare la politica dei “due forni”. L’ultimo ad averlo fatto, lanciando il classico sassolino nello stagno, è stato quel Ciriaco De Mita che fu prima teorico unella Dc dell’apertura a sinistra e successivamente filosofo della collocazione dei “Cattolici Democratici” (leggi Sinistra Dc) sul versante dell’Ulivo e poi del Pd, insieme ai reduci del Partito comunista italiano. Ebbene, sembra che l’intellettuale di Nusco abbia rivalutato l’attualità ideale del popolarismo liberale di Sturzo abbandonando il socialismo statalista di Dossetti. A ben guardare la sua idea di rilanciare un popolarissimo quanto elegante (nuovo) partito di centro, per quanto ancora vaga, appare lucida proprio come la testa dell’uomo che le ha dato voce, e può essere diretta ad un vasto elettorato moderato e sfiduciato che non va più a votare. A patto però che si formi un’aggregazione di cattolici e di liberal democratici che abbiano il riformismo come comune denominatore di culture anche diverse e che appunto proprio per questo, possano trovare ampie convergenze. Per intenderci, un’idea del genere potrebbe piacere a molti dei proseliti renziani che hanno assecondato la stagione riformatrice del governo dell’ex rottamatore di Rignano, molti dei quali in odore di essere accantonati nel Pd dalla ortodossia restauratrice cui si ispira Zingaretti. Potrebbe piacere anche ai tanti ex forzisti delusi dal senile declino di Berlusconi e delle sue molteplici vicissitudini. Sono milioni gli elettori che si sentono orfani delle idee innovatrici che il Cavaliere esponeva nel tempo della sua discesa in campo, purtroppo rimaste tali. Un partito, quello che potrebbe prendere forma, che però non deve essere il frutto della saldatura di pezzi di nomenclatura né derivare dalla nostalgia del glorioso passato, ma semplicemente scaturire dalla comune visione dell’esistente, dalla presa di coscienza degli errori del passato. Un partito, insomma, dal quale far ripartire tutta la politica italiana, testimone del riformismo di matrice popolare, non di élite plutocratiche oppure metafisiche che, tramite i social network, sono pronte a soddisfare interessi e finalità particolari. Un binomio quello popolar – riformista, che riconduca la Nazione sui binari della realtà e della stabilità, lontana dalle continue frizioni enti europee e dalla convinta collocazione filo occidentale in politica estera. Bisognerà spiegare al popolo che non si governa con la paura e che quel che si invoca di voler realizzare ritornerà ad utile al popolo medesimo. Riformare d’altronde, significa anche scomodare anime elette, ripensare ai monopoli statali che producono enormi perdite economiche. Significa riportare il merito nella scuola e la verifica dei saperi per discenti e docenti. Significa riformare la giustizia ed i suoi potentati insindacabili, riformare la sanità introducendo la competizione e la verifica della qualità dei servizi in favore del diritto di scelta del malato, far pagare le tasse a tutti con un sistema di tipo californiano basato sulla capacità effettiva di spesa del contribuente. Tante cose dette e ridette ma mai portate a compimento. Sarebbe veramente questa la svolta epocale. Occorre ovviamente anche una nuova legge elettorale di stampo maggioritario uninominale con piccoli collegi nei quali poter identificare e scegliere i pochi candidati del territorio, contro l’egoismo identitario del proporzionale e dei tanti partitini. Non mancano quindi gli argomenti semplici e comprensibili al popolo stesso. La modernità delle varie forme di comunicazione dovrà necessariamente investire anche la modalità di trasmissione delle idee e della partecipazione. Se manca questo sforzo di chiarezza, di novità e di accantonamento delle antiche furbizie e dei sottaciuti interessi di pochi, anche stavolta la rinascita di un grande partito andrà incontro ad un rinnovato fallimento. Per fare le frittate bisogna rompere le uova, ammoniva il grande Montesquieu.