CASAL DI PRINCIPE – Con i cognati e il suocero boss in cella, Vincenzo D’Angelo, fino al giorno del suo arresto, si era ritrovato ad occupare il vertice della cosca bidognettiana. E in quella posizione per le sue mani (inevitabilmente) sono passati i principali business messi in piedi dal clan grazie alla complicità di una fitta rete di imprenditori ‘amici’ attiva tra l’Agro aversano e il Litorale. Ed ora che è un collaboratore di giustizia, il genero dell’ergastolano Cicciotto ‘e mezzanotte può aiutare i magistrati Maurizio Giordano, Francesco Raffaele e Vincenzo Ranieri a far luce sui protagonisti di questi affari mafiosi.
Tra i primi temi che D’Angelo ha affrontato da pentito c’è quello delle pompe funebri. “Giovanni Lubello, fidanzato con Katia Bidognetti sin dal 1999 (adesso è un ex, ndr), mi disse che il clan dei Casalesi ha ripartito i settori da cui trae profitti destinati ai nuclei familiari in questo modo: Schiavone gestisce il gioco clandestino e le slot, Bidognetti, invece, le onoranze funebri”. Esposto ai pm il quadro generale (e storico), il pentito, marito di Teresa Bidognetti, ha trattato nel dettaglio proprio il business funerali puntando il dito contro Francesco Cerullo: “Si occupa dei servizi funebri ed è uno la cui titolarità dell’impresa è riconducibile alla Ifa. E’ stato designato come rappresentante sul territorio di Frignano per i servizi funebri da Aniello Bidognetti e da Nicola Gargiulo ‘capitone’. Questa designazione territoriale trova le sue radici – ha raccontato D’Angelo – nella decisione, presa da Francesco Bidognetti molti anni prima con il padre di Francesco Cerullo, nell’ambito della divisione territoriale delle imprese funebri consociate a Bidognetti e che, in forza di tale rapporto di società, erogavano una quota alla famiglia Bidognetti commisurata ai funerali che svolgevano”.
D’Angelo ha deciso di collaborare con la giustizia circa dieci giorni dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Tribunale di Napoli su richiesta della Dda, con cui era stato portato in cella (accusato di associazione mafiosa). Per gli inquirenti ha fatto da collante tra il ‘mondo libero’ e Gianluca Bidognetti, in carcere nel reparto di alta sicurezza a Terni, e Francesco Bidognetti, recluso al 41 bis, rispettivamente padre e figlio e ritenuti ancora, nonostante i tantissimi anni da loro trascorsi in prigione, i riferimenti della compagine mafiosa.
L’inchiesta che ha trascinato in prigione D’Angelo ha fatto scattare l’arresto anche per Cerullo (indagato per associazione) e per altre 35 persone: ha puntato a smantellare non solo l’organizzazione bidognettiana, ma pure quella degli Schiavone che, sostengono gli inquirenti, negli ultimi anni era stata gestita da Giovanni Della Corte.
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