Clan dei Casalesi. Dalla Campania all’estero, la rete degli Zagaria che cresce senza sparare un colpo

Il potere silenzioso del gruppo guidato da Michele Zagaria

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Nella foto principale Michele Zagaria, nel fotino in alto Carmine Zagaria, in quello in basso Filippo Capaldo

CASAPESENNA – È ancora lontano dal modello della camorra napoletana, dove le cosche si fronteggiano assiduamente per il controllo di strade e quartieri, contendendosi le piazze di spaccio e il racket ai danni di commercianti e imprenditori. Il clan dei Casalesi continua ad avere una struttura meno dinamica e, militarmente – anche grazie alle indagini che lo hanno indebolito – meno forte, e quindi più silenziosa rispetto alle realtà malavitose partenopee. Ma questo non significa che sia fermo. È vivo. Eccome se è vivo. E si muove. E chi, nell’ultimo decennio, si sta radicando in territori dove prima era solo marginalmente presente è il gruppo Zagaria. Ma non lo fa come la camorra napoletana, appunto, con le ‘stese’, piazzando bombe carta o uccidendo. Agisce investendo, comprando terreni, inserendo (o avvicinando) negli enti locali soggetti che fanno i suoi interessi. Del resto, questa è sempre stata la cifra del gruppo di Casapesenna: basta pensare a quanto emerso dalle indagini ‘Medea’ (su alcuni appalti regionali legati al settore idrico) o ‘Croce Nera’ (sull’ospedale di Caserta). Negli ultimi anni l’avanzata degli Zagaria – con base a Casapesenna – si sta muovendo su due fronti. Il primo è interno alla Campania: a San Marcellino, dove il gruppo starebbe preparando l’espansione urbanistica dell’area; a Caserta, dove, attraverso ditte riconducibili a soggetti direttamente o indirettamente legati al clan, ha ottenuto e continua a ottenere appalti; e infine nell’area di Napoli Nord, dove tenta di estendere gradualmente la propria influenza fino a Giugliano, con attività commerciali e imprenditoriali.

Antonio e Carmine Zagaria

Ma l’espansione non si limita al territorio regionale. Il secondo fronte, infatti, è estero, da sempre caro al leader della struttura, l’ergastolano Michele Zagaria, detto “Capastorta”. Tra le destinazioni principali continua a figurare la Romania — dove, in nome del clan, aveva investito Nicola Inquieto, oggi sostituito da nuovi e più giovani “colletti bianchi” — e le Isole Canarie, in particolare Tenerife, dove da anni si sarebbero radicati Filippo Capaldo, nipote di Zagaria, e i suoi fratelli.

Si tratta di un’espansione economica alimentata dal denaro accumulato negli anni e ora fatto muovere attraverso imprenditori che hanno beneficiato, e continuano a beneficiare, di quello che Giuseppina Nappa, moglie del capoclan Francesco Schiavone Sandokan, ha definito – in uno dei recenti interrogatori resi ai magistrati della Dda di Napoli – come “lievito madre”: la forza mafiosa che garantisce capitali e sbaraglia ogni concorrenza, agevolando l’imprenditore colluso corrompendo o incutendo paura.

Riuscire a far emergere questa rete di investitori (che poi ridistribuisce al gruppo Zagaria parte degli utili) è probabilmente la parte investigativa più complessa. Perché chi la gestisce è sempre più attento a non lasciare tracce di contatti con soggetti notoriamente mafiosi (che potrebbero attirare l’attenzione degli investigatori), muovendosi invece attraverso intermediari su intermediari. Risalire all’origine malavitosa di questi business diventa quindi sempre più difficile.

Filippo Capaldo

Ma questo non scoraggia l’Antimafia, che continua a cercare di ricostruire il filo che lega l’imprenditore colluso al nocciolo del clan Zagaria, che oggi potrebbe contare anche sul ritorno in libertà di alcuni familiari storici di Capastorta. Carmine, Pasquale, Antonio ed Elvira Zagaria sono tornati in provincia di Caserta (la speranza, naturalmente, è che abbiano davvero reciso ogni legame con le logiche mafiose). Se la cosca originaria di Casapesenna continua a mantenere un profilo basso – anche se il recente ritrovamento di una mitraglietta in uno degli ex covi del boss Michele Zagaria lascia presagire che, all’occorrenza, anche lei, magari coinvolgendo manovalanza straniera (albanesi), sia pronta a farsi sentire – c’è invece chi, ultimamente, ha imboccato apertamente una strada diversa, fatta di stese, pestaggi e agguati, proiettandosi verso le dinamiche napoletane.

Uno scenario alimentato dalle scarcerazioni di soggetti che hanno scelto la via della violenza palese per riappropriarsi del potere criminale. Ci si riferisce soprattutto a Emanuele Libero Schiavone, figlio di Sandokan, che, appena tornato in libertà dopo undici anni di carcere, aveva ingaggiato uno scontro armato con un’ala del gruppo Bidognetti per conquistare il controllo del mercato della droga (il giovane, lo scorso anno, è stato nuovamente arrestato e riportato in cella). Ma, in linea di massima, l’organizzazione mafiosa con base nell’Agro aversano continua ad agire in silenzio, con la consueta strategia dell’infiltrazione, del controllo economico e dell’espansione sotto traccia.

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