AFRAGOLA (Tommaso Angrisani) – Pagare per avere la ‘protezione’ del clan. E’ quanto ipotizza la Dda napoletana che punta a ricostruire 6 anni di attività estorsiva in diversi comuni dell’area nord di Napoli. Il supermercato Conad di Casoria, infatti, avrebbe pagato tre volte all’anno ed in una circostanza sarebbe stata scoperta una estorsione da 5mila euro. La Edil Cem, invece, avrebbe pagato una somma periodica non inferiore a 1000 euro ed ulteriori ‘dazioni’ occasionali pari ad almeno 500 euro. Dall’ordinanza, poi sarebbe emerso anche come nel 2017 il titolare del negozio di abbigliamento di Casoria ‘Modamalù’ sarebbe stato sottoposto al ‘pizzo’. Trecento euro tre volte all’anno – la canoniche ricorrenze di Natale, Pasqua e Ferragosto – è il prezzo che sarebbe stato imposto alla Pharmasanitaria ‘Donatello’ di Afragola. In una circostanza questo negozio sarebbe stato anche costretto a consegnare gratuitamente un kit per neonati dal valore di 600 euro. Dal 2016 al 2019 la Pro.Sid avrebbe pagato l’estorsione mensilmente. In un caso il proprietario sarebbe anche stato costretto a fornire lamiere a prezzo di costo senza alcun margine di guadagno per un totale di 840 euro da ‘scalare’ al pizzo. Dal provvedimento è venuto fuori pure che alcune estorsioni sarebbero rimaste ‘incompiute’ e quindi contestate come solo tentate: si tratta di quella al Supermercato Yes di Casoria, quella all’azienda vinicola la Cantinetta di Afragola e quella alla Pd Costruzioni, inizialmente ditta subappaltante dei lavori presso il cimitero di Afragola, poi ceduti ad una ditta di Casapulla. In quest’ultima circostanza, datata settembre 2017, alcuni emissari si sarebbero presentato presso il cantiere ‘fermandolo’ di fatto richiedendo al titolare “di mettersi a posto”. Per ricostruire queste ipotesi di reati si sono rivelate fondamentali le intercettazioni ambientali oltre alle rivelazioni del collaboratore di giustizia Michele Puzio.
Un cartello altamente operativo
Un clan altamente operativo con un ‘modus operandi’ ben preciso. E’ quanto emerge nell’ordinanza di custodia cautelare a carico del clan Moccia in cui viene fuori come nel periodo dei fatti in contestazione diverse dinamiche ne hanno rimodulato gli assetti interni, la composizione soggettiva ed i rapporti con le altre cosche campane. Secondo l’Antimafia, tuttavia, la cosca conserverebbe le sue connotazioni originarie e che in essa, anche a dispetto di lunghi periodi di detenzione, continuerebbero a collocarsi, “immancabilmente e senza soluzione di continuità” scrive il gip nel provvedimento, molti dei soggetti già condannati. I tre fratelli Moccia – Angelo, Antonio e Luigi – avrebbero mantenuto, anzi implementato, la loro posizione verticistica rappresentando sempre e comunque il triumvirato di comando, a cui va ad aggiungersi il genero Filippo Iazzetta in posizione analoga di vertice tanto che sarebbe possibile anche parlare di ‘quadriumvirato’. Per la Dda, inoltre, accanto ai soggetto storici, a vari livelli e con diversificazione di compiti e di ruoli, opererebbero le giovani leve, per lo più reclutate su base familiare (come per esempio il figlio di Angelo, Gennaro Moccia e Benito Zanfardino) e che gli equilibri si sarebbero in parte venuti modificando, ivi compresi alcuni settori in seno ai quali il clan ha espletato la ‘propria attività”. Dall’inchiesta, poi, sarebbe emerso anche come Angelo Moccia (detto Enzuccio) per la Procura non si è mai dissociato e mai è stata sua intenzione dissociarsi sia dal clan che dal nome di famiglia.
Il retroscena: quando Angelo Moccia incontrò Papa Francesco
Nell’ordinanza firmata il 9 aprile per decapitare il clan Moccia sono emersi scenari inquietanti. Nel provvedimento descritto anche un viaggio a Roma per l’udienza dal Papa. Angelo Moccia e Giovanni Esposito, insieme alle rispettive mogli si recarono in Vaticano nel 2017. A procurare ad Angelo Moccia il biglietto di ingresso per l’udienza pubblica, secondo i magistrati fu Mauro Esposito, titolare di un bar nella vicina via della Conciliazione. Ovviamente Papa Francesco non era al corrente di chi fossero i suoi ospiti e soprattutto del fatto che stesse per ricevere anche persone accusate di far parte della malavita organizzata. Per Angelo Moccia mostrare la foto con Bergoglio era motivo di orgoglio, come hanno potuto constatare i carabinieri del Ros grazie a un’intercettazione ambientale del maggio 2018. Domenico Caputo, considerato uno degli affiliati al clan, notò nell’ufficio di Giovanni Esposito una foto di quest’ultimo con Papa Francsco e commentò con approvazione. C’è questo e altro nell’ordinanza che ha accompagnato i 59 provvedimenti, decisi per decapitare il clan Moccia. L’udienza dal Papa, ignaro di ciò che stesse accadendo, è la dimostrazione che il malaffare s’intrufola dappertutto. Anche una foto con il Santo Padre è un bottino da conquistare con metodi illeciti. Anche su questo i magistrati hanno voluto fare luce nell’operazione che ha sgominato la cosca.
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