Clima, scienza ed interessi economici

Vincenzo D'Anna, già parlamentare

Sulle colonne di questo stesso giornale abbiamo già trattato l’argomento dei cambiamenti climatici e le disastrose conseguenze che ne derivano. Lo abbiamo fatto e, per amore del vero, continueremo a farlo pur avendo la certezza di essere additati e vilipesi da quel blocco sociale che imperversa sui social e che ha già assunto la definitiva convinzione di essere depositario del verbo assoluto. Un blocco che non ammette dubbi né informazioni alternative, avendo scelto di predicare il vangelo del pensiero unico, veicolato attraverso certezze apodittiche ed immodificabili divulgate prevalentemente in rete social per il popolo dei tuttologi e dei maestri di tastiera. Stiamo parlando di una variegata ed aggressiva schiera che non esercita il bene del dubbio né ha in qualche misura contezza della verifica epistemologica (ricerca della verità oggettiva) di cui normalmente si dota la scienza. Qualunque teoria o supposizione scientifica infatti è soggetta ad un processo che passa attraverso una serie di obbligatorie verifiche comunemente dette prove di fallibilità e di riproducibilità. In parole povere: lo scienziato chiede che il proprio lavoro sia “stampato” o pubblicato su siti specializzati, ma prima che questo accada, la sua ricerca dovrà essere obbligatoriamente vagliata da un “board “di esperti i quali faranno osservazioni precise e chiederanno ulteriori chiarimenti all’autore. In buona sostanza: la teoria enunciata dovrà essere confermata da parte di altri studiosi ai quali toccherà confermare il dato sperimentale nelle identiche condizioni di prova. Viceversa i “controllori” verificheranno la fallibilità della prova a condizioni modificate (test di fallibilità) per accertarsi che quel fenomeno non si riproduca comunque in condizioni diverse del sistema chimico, fisico e biologico. Solo al termine di questa pluralità di verifiche il report potrà essere ammesso nel novero delle cosiddette “verità scientifiche”. Giova precisare che in scienza ogni verità è temporanea e può essere modificabile da altre analoghe ricerche sottoposte al medesimo procedimento epistemologico. Tuttavia tutto questo viene saltato a piè pari dai geni del web che sovente, per partito preso, per condizionamento generale oppure per semplice scelta di campo ideologica, diventano strenui difensori di una tesi che in genere coincide con il pensiero dominante, ossia con quello che viene maggiormente diffuso dagli organi di informazione schierati e che trova estemporanei consensi su internet. Insomma sono i “like” e le condivisioni a determinare la verità scientifica ed in genere il pensiero dominante del “mainstream”. Fuori dalla prassi e dalle precise regole della verifica, tutto si fa opinione elevata a certezza e chiunque si azzardi a controdedurre viene etichettato come “negazionista” e nemico della scienza. Una lunghissima premessa, la mia, per entrare nel contesto barbarico ed approssimativo che fa da ostacolo e da intimidazione per chiunque abbia altro da dire o da dimostrare. Dopo il Covid e l’acerrima battaglia insorta circa la bontà e l’efficacia della profilassi “vaccinale”, ecco arrivare un’altra dura contesa: quella sul clima, diventata egualmente divisiva con la sua coda feroce di incongruenze e di violenze. Sono tuttavia convinto che chi abbia da dire qualcosa credendo e confidando nella scienza e nella prassi epistemologica innanzi indicata, dovrà pur trovare il coraggio di farlo conferendo al proprio dire il crisma della documentazione verificata ed accettata da quella vastissima entità chiamata “comunità scientifica”. La principale tesi attualmente vigente sul clima, quella cioè più diffusa ed ossessivamente ripetuta, è quella che assegna alle attività antropiche (cioè dell’uomo) l’origine degli squilibri in atto ed in particolare alla massiccia produzione di anidride carbonica. In parole povere: se i ghiacciai si sciolgono e nei nostri paesi fa sempre più caldo, la colpa è degli esseri umani e dell’inquinamento atmosferico a colpi di aumento della CO2. Ne consegue una vasta propaganda in favore di una transizione ecologica che abbandoni le fonti di combustione fossili ed i prodotti derivanti dal petrolio. Non sfugge a nessuno che questa teoria abbia profonde conseguenze e vantaggi di tipo industriale ed economico per i produttori di nuove fonti di energia rinnovabile “pulita” (pensiamo, solo a mo’ di esempio, ai fabbricanti di batterie elettriche per auto). Un blocco politico economico che rifiuta ogni altra evidenza sulle cause del problema perché, semplicemente, vede minacciati investimenti ed interessi. Numerosi scienziati e climatologi, tra cui spiccano fisici di fama mondiale e un paio di premi Nobel (!), hanno ripetutamente confutato la tesi che sia l’anidride carbonica la causa dei cambiamenti climatici. Addirittura un sito specializzato che vi invito a consultare ( https://co2coalition.org/facts/) americano ha documentato puntualmente e con rigore scientifico tali asserzioni ribadendo che la concentrazione di CO2 oggi sia addirittura la più bassa degli ultimi 400 anni(!!) e che siano le ere glaciali quelle dipendenti dal basso tenore di questa sostanza disciolta nell’aria. Una ulteriore diminuzione ci porterebbe alla glaciazione. Comunque sia la domande sorge spontanea: è scienza in contrasto oppure un contrasto agli interessi quello che anima questa battaglia sul clima?

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