Concato a ‘Cronachedi’: mi sento realizzato, che emozione lavorare con Pino Daniele

Stasera sold out al Teatro Landi di Sant'Arpino per il cantautore: "E’ un revival delle mie canzoni che partono dal 1977 ad oggi, ci saranno anche degli inediti"

NAPOLIFabio Concato, vera e propria icona della musica italiana d’autore. Nasce a Milano, il 31 maggio del 1953, da una famiglia ricca di stimoli culturali e musicali: la madre Augusta Concato, da cui ha ricavato lo pseudonimo, è giornalista e stimata poetessa; il padre Luigi Piccaluga, ottimo chitarrista e noto autore e divulgatore della musica jazz. Le sue canzoni prendono subito spunto dal quotidiano in cui l’autore narra in modo del tutto personale le piccole e grandi storie della vita di tutti i giorni: nostalgie, ricordi, speranze, rivelazioni e confessioni appena delineate, lampi d’allegria contagiosa e momenti di grande tenerezza che hanno sempre fatto breccia sia nell’immaginario che nella sensibilità del suo vasto pubblico. Concato muove i primi passi artistici nel 1974, ma già da piccolissimo è attratto dal mondo magico della musica. “Avrei voluto studiare al Conservatorio – spiega – perché ho sempre amato la musica avendola ascoltata in casa grazie a mio padre e mia madre. Prima dell’età scolare, però, quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, rispondevo: il comunista o il pompiere. Poi verso i 5, 6 anni è maturata in me la voglia di fare il cantante. Mio padre era d’accordo nel farmi frequentare anche il Conservatorio definendomi a quei tempi un ‘piccolo talento da circo’, mia mamma invece, che aveva studiato musica, la pensava in tutt’altro modo. Conoscendo le mie reali attitudini e le mie oggettive difficoltà logico-matematiche di cui la musica è composta, avrebbe preferito che facessi altro”.
Ma lei ha iniziato a suonare già da subito, a soli 13 anni.
Era il 1968, l’anno della contestazione giovanile. In quell’epoca ho messo in piedi assieme a mio fratello un gruppo di rock come era giusto che fosse.
Come lo ha vissuto quel periodo un giovane che già da piccolo voleva fare il comunista?
Da comunista! Oddio, forse più da simpatizzante. Politicamente sono orientato a sinistra anche per estrazione culturale e familiare. Solo mio nonno, non lo era.
Le piace la lettura?
Certo, e amo leggere di tutto. Sono innamorato della storia moderna: ultimamente ho letto Antonio Scurati che parla di Mussolini. Mi piace leggere anche la letteratura italiana e la poesia. Con la mia età sto rivalutando diverse cose.
Nel 1974 ha cominciato la sua carriera artistica con il cabaret.
Quella è stata un’esperienza bellissima, molto costruttiva anche dal punto di vista umano e professionale. Lavoravo con un gruppo che si chiamava ‘I mormoranti’ con la regia di Gianfranco Funari, una vera garanzia in tal senso. Recitare vicinissimo alle persone che stanno lì a guardarti, mi è servito tantissimo, per me è stata una vera palestra formativa. Nel nostro piccolo ci eravamo inventati uno spettacolino niente male ad impegno sociale. Mi esibivo assieme a Giorgio Porcaro e Bruno Graceffa, con cui proponevamo musica e recitazione assieme.
E poi?
E poi per motivi diversi, come spesso capita nella vita, ci siamo divisi. Verso la fine del ’76 ebbi la chiamata di un grande direttore artistico, Giampiero Scussel, che mi volle incontrare per fare insieme dei dischi; era direttore di una piccola casa discografica milanese. Allora studiavo medicina, ma la mia attenzione volgeva allo spettacolo, al cabaret. E’ così che è cominciata la mia carriera artistica, in maniera molto diversa da come avveniva in quegli anni.
Poi dal 1977 al 1979 sono usciti a raffica tre suoi album.
Evidentemente avevo molte cose da dire. E’ stato l’unico periodo prolifico in quanto negli anni a venire mi sono preso delle lunghe pause. Nei miei testi iniziali esprimevo molta ironia o, addirittura, sarcasmo, frutto di frustrazioni e depressione che scaturiscono dal mio umore sostanzialmente cupo. Situazioni che di solito aiutano a sviluppare un linguaggio segnato dalla vena malinconica, tanto che un giornalista in una sua recensione ebbe a scrivere che Luigi Tenco a mio confronto fosse un cantautore ‘allegrissimo’. Oggi più che depresso amo definirmi riflessivo e contemplatore.
E l’esplosione al grande pubblico?
Si è materializzata nel 1982 con l’album ‘Fabio Concato’ in cui c’è la canzone ‘Domenica bestiale’ che fece molto successo, non tradotto però in altrettante vendite. Ma quella canzone mi ha fatto conoscere al grande pubblico al punto che dopo 39 anni la si ascolta ancora.
Lei ha lavorato con il grande Pino Daniele.
Erano anni che volevamo fare qualcosa insieme. Una sera ci siamo trovati a Milano e abbiamo lavorato ad un pezzo dal titolo ‘La canzone di Laura’ di cui io ho curato la musica e lui il testo in dialetto napoletano. Il tutto in una sera in cui abbiamo anche mangiato e bevuto fino a tardi. E poi, la mattina successiva, di buon’ora mi è arrivato un fax con il testo già bello e pronto che Pino aveva scritto durante la notte.
Com’era Pino Daniele?
Una persona molto difficile che non amava i compromessi. D’altronde lui ha avuto la sua vita, la sua infanzia, i suoi problemi, come tutti del resto. Era una persona poco elastica se non con le persone che stimava, altrimenti era bello tosto.
E con Flavio Premoli della PFM, com’è andata?
Siamo nel 1995, anche quella è stata un’esperienza notevolissima, dove ho scoperto la grandezza di Flavio anche come arrangiatore in un disco davvero eccezionale.
A quanti Sanremo ha partecipato?
Due. Il primo nel 2001 con una canzone d’amore dedicata a mia moglie ‘Ciao Ninin’ e nel 2007 con ‘Oltre il giardino’, un pezzo sociale che trattava dei 50enni che perdono il lavoro. Era l’anno di Cristicchi che cantava la follia degli uomini, tanto per capirci. Su quella mia canzone ho sentito tante critiche, ma ho scritto e proposto al Festival un pezzo che sentivo e di cui volevo parlare in quel periodo della mia esistenza.
Quali dischi hanno segnato di più la sua carriera artistica?
Tre dischi in modo particolare: ‘In viaggio’ del ’92 in cui si evince molto di me stesso; ‘Ballando con Chet Baker’ e nel 2012 ‘Tutto qua’, un lavoro nato dalla maturità, da quella contemplazione che ha sempre fatto parte del mio modo di essere.
Chi è oggi Fabio Concato?
Un musicista che ha creato buone cose, che ha fatto il suo percorso come in realtà avrebbe voluto farlo.
Nel 2016 ha pubblicato ‘Non smetto di ascoltarti’, un cd fatto con parole tue, di Dalla, di Sergio Endrigo, di Mogol e De Gregori.
Un album di pezzi già pubblicati dai vari autori e rivalutati assieme a Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello il cui titolo “Non smetto di ascoltarti” non era affatto un caso, anzi.
Questa sera sarà al Teatro Lendi di Sant’Arpino per un grande concerto ed un tutto esaurito.
E’ un revival delle mie canzoni che partono dal 1977 ad oggi. Canterò pezzi più e meno conosciuti per due ore di concerto in cui sono me stesso senza fingere, mistificare, in cui viene fuori il prodotto della mia anima. Sul palco con me un quartetto di musicisti con cui lavoro da 10 anni: bravi artisti e brave persone, come: Ornella D’Urbano (arrangiamenti, piano e tastiere), Gabriele Palazzi Rossi (batteria), Stefano Casali (basso), Larry Tomassini (chitarre). Metteremo in scaletta dei brani che non abbiamo mai fatto fino ad ora e di cui siamo curiosi di ‘vedere di nascosto l’effetto che fa’, come diceva il grande Iannacci.

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