Contrordine compagni, destra e sinistra esistono ancora

Foto Claudio Furlan / Lapresse in foto Walter Veltroni

Contrordine compagni, destra e sinistra esistono ancora. Per vent’ anni ci hanno riempito la testa, e le scatole, con il ‘tramonto delle ideologie’, con il superamento dei vecchi steccati, con la necessità di consegnare il fascismo alla storia e di sistemarlo per bene in un museo. Ma l’altra sera, dalla festa nazionale dell’Unità, invece, si è auto-riesumato Walter Veltroni (mister ‘ma anche’) ed ha richiamato all’ordine tutti gli iscritti del Pd e tutti i simpatizzanti di sinistra: “Non dobbiamo più vergognarci di chiamarci compagni” ed ha snocciolato una serie di episodi in stile amarcord di quanto erano belli e quanto erano grandi i tempi e le gesta di Berlinguer. Ha spiegato per filo e per segno tutte le ragioni per le quali esiste ancora una destra, elencando le politiche della Lega, soprattutto quelle sull’immigrazione, ed ha fatto appello all’orgoglio: “Noi siamo l’esatto opposto”. E sarebbero opposti, si augura Veltroni senza sperarci troppo, anche nello stile e nei modi: “Noi siamo quelli che stanno dalla parte dei deboli e quelli che ascoltano senza prevaricare. Senza offendere”. Un appello alla moderazione al tempo dei social: “Anche perché poi capita che ci sia bisogno di fare un passo indietro e ci si ritrova sul groppone esternazioni violente e imbarazzanti”. Infatti. Ma magari ha ragione sul fatto della destra e della sinistra. In fondo sono due visioni della società, inutile cercare di mandarle in soffitto. Dovrebbero capirlo anche i Cinque Stelle, i più strenui sostenitori del post-ideologismo, ma la ‘prova-governo’ li sta facendo barcollare. Del resto l’obiettivo più ‘alto’ che dovevano raggiungere era quello di sparire: la loro missione era quella di fare pulizia e andarsene, non di rimanere a fare i politicanti. Dovevano togliere l’Italia dalle fauci di chi se la stava mangiando e tornarsene a casa (“non chiamateci ‘onorevoli’, siamo semplici cittadini, portavoce dei cittadini”). Ma pare che nel ‘palazzo’ ci vogliano mettere radici: oggi che si sono resi conto che il 50% dei voti non lo prenderanno mai (e nemmeno il 40, quindi di governare da soli non se ne parla), invece di ammettere il fallimento si ‘trattengono’ e ‘intrattengono’ al governo un po’ con tutti (ieri con la Lega, oggi il Pd, domani con?). Ma così la rivoluzione non la si ottiene. Un esempio? La ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, Pd, ha detto che le concessioni autostradali non si toccano: addio ‘punizione’ ai Benetton. E nemmeno con il taglio del 345 parlamentari otterranno molto: si ridurrà la superfice da pulire, ma la scatoletta di tonno resterà chiusa. I gruppi di potere, quelli da sterilizzare, quelli a cui tagliare le mani piene di soldi pubblici, sono incrostazioni destinate a sopravvivere a questi ‘mezzi governi del cambiamento’. Se Di Maio, Di Battista, Casaleggio e Grillo, non sono in grado di andare oltre il 33 per cento dei consensi, allora bisogna cambiare Movimento. Ora si vorrebbero pure cucire addosso una legge elettorale ad hoc (proporzionale) per riuscire comunque a rimanere al governo anche con meno del 30 per cento. Democristiani puri. Il tonno puzza dalla testa. Cambiare a metà è una presa per i fondelli.

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