Strasburgo, la condanna all’Italia: “Non poteva confiscare Punta Perotti”

Nuovo capitolo della vicenda che si protrae da oltre 12 anni

A picture taken on March 14, 2018 shows European Union flags next to the European Commission headquarters in Brussels, adorned by a banner displaying its name in French, amongst others European languages. The use of French in today's EU bubble, that small world of European decision-making, has given way to English over the years. Amid the shock of Brexit, talk in Brussels was that English would be on the decline given that it was only an official langauge for small members Ireland and Malta. / AFP PHOTO / EMMANUEL DUNAND

MILANO (LaPresse) – Ultime dalla Corte di Strasburgo. Nuovo capitolo nella travagliata vicenda di Punta Perotti, dove sorgeva quello che per tutta Italia era diventato l’emblema degli ‘ecomostri’, abbattuto nel 2006. La Corte europea ha stabilito che le autorità italiane non avevano il diritto di confiscare terreni con costruzioni abusive prima di una condanna formale dei titolari. Facendolo, hanno violato il diritto del rispetto della proprietà privata. La sentenza riguarda l’area barese, ma anche Golfo Aranci (Olbia), Testa di Cane e Fiumarella di Pellaro (Reggio di Calabria).

La Corte di Strasburgo condanna l’Italia

Lo Stato già nel 2012 era stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a risarcire le imprese costruttrici del complesso che sorgeva sul lungomare di Bari. E Palazzo Chigi si è rivalso sul Comune di Bari chiedendo di versare, a rate, oltre 46 milioni di euro.
Conseguenza: un nuovo contenzioso, tra amministrazione e governo. A portare la questione davanti ai giudici europei le società Giem srl, Hotel Promotion Bureau srl, Rita Sarda srl, Falgest srl e Filippo Gironda. Strasburgo gli ha dato ragione valutando la misura della confisca “sproporzionata“. E si è riservata di decidere su una giusta compensazione, tenendo conto della possibilità di un accordo tra lo Stato e le parti ricorrenti.

Una vicenda giudiziaria in corso da oltre 12 anni

I giudici hanno riconosciuto che le quattro società in sè “non sono state parte di nessun procedimento“. Mentre per Gironda c’è stata “una violazione del suo diritto di presunzione di innocenza“. Inoltre sottolineano che “l’automatica applicazione della confisca in caso di abuso edilizio, come prevista dalla legislazione italiana, non ha permesso ai tribunali di valutare il legittimo obiettivo della misura contro i diritti di coloro che sono colpiti dalla sanzione“.

La vicenda giudiziaria, iniziata nel 1997, due anni dopo l’avvio dei cantieri, a oltre dodici anni dalla demolizione sembra ancora lontana dal veder scritta la parola fine.

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