CASERTA – Non solo Casalesi. Tra gli scarcerati eccellenti c’è anche un boss del Litorale: si tratta di Mariano La Torre, cugino di Augusto La Torre, capoclan dei Chiuovi.
La sua cosca è stata falcidiata da arresti e confische. Su Mondragone non è più riuscita a prendere il sopravvento. Ed infatti, ora, a controllare le attività illecite ci sono altri gruppi malavitosi (Fragnoli, Gagliardi, Pagliuca). Qualche anno, fa, però, le cronache sono tornate a parlare dei La Torre. Perché Francesco Tiberio, figlio di Augusto, nel 2018 è finito in cella, con lo zio Antonio (poi liberato), per detenzione illecita armi. Inizialmente la Dda ipotizzava che i familiari del boss dei Chiuovi si stessero riarmando per ricostituire il gruppo. Ma i giudici di secondo grado, che hanno condannato i due, hanno escluso l’aggravante mafiosa. Francesco Tiberio La Torre è stato dichiarato colpevole in primo grado anche di associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Una parte della famiglia, quindi, sarebbe tornata a commettere reati, senza tuffarsi, però, nella mafia.
Nell’elenco dei 376 messi agli arresti in casa durante l’emergenza sanitaria, a far compagnia a Mariano La Torre (condannato per camorra, estorsioni ed armi), ci sono anche Vincenzo Di Sarno e Tommaso Tirozzi. Nel 2015 vennero coinvolti nell’inchiesta sul Jambo e sulla gestione dell’amministrazione comunale di Trentola Ducenta. L’attività investigativa avrebbe svelato le ingerenze di Michele Zagaria (nella seconda foto) sul centro commerciale e sulla politica locale. Il lavoro degli inquirenti sfociò nell’esecuzione di 21 misure cautelari: in quattro risultarono irreperibili al momento del blitz. Cinquanta, invece, le persone complessivamente coinvolte. A mettere i due ai domiciliari è stata la Corte d’Appello che, nei prossimi mesi, giudicherà per la seconda volta le loro posizioni. Di Sarno e Tirozzi, infatti, erano già stati condannati in secondo grado per camorra, ma la Cassazione nei mesi scorsi ha annullato quel verdetto rinviando gli atti ad una nuova sezione: le pene dovranno essere considerate ‘al ribasso’, seguendo la norma che era in vigore cinque anni fa. Perché l’ipotizzata partecipazione alle attività del clan dei due imputati risalirebbe a prima del 2015. La scarcerazione è stata resa possibile perché quella che stanno trascorrendo è una detenzione cautelare: non c’è pena definitiva. Dunque, con il Covid-19 c’entrano nulla, ma ugualmente sono stati inseriti nella lista inviata al ministro Alfonso Bonafede.
Nell’elenco spuntano pure Luigi Belardo, esponente del clan Moccia, ma residente ad Orta di Atella, e Giosuè Fioretto, 54enne, cognato di Anna Carrino, l’ex moglie del boss Francesco Bidognetti. Fioretto venne ammanettato la prima volta nel 2007 con l’accusa di associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti ha gestito diversi affari economici per conto del clan.
Figura centrale della lista è Pasquale Zagaria (nella prima foto), fratello del padrino Michele. A far scoppiare la polemica è stata la sua scarcerazione (era al 41 bis), decisa a fine aprile dal tribunale di Sorveglianza di Sassari.
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Killer, narcos e camorristi: il profilo dei ras scarcerati tra capoluogo e hinterland
NAPOLI (Gennaro Scala) – Un esercito di oltre trecento nomi. Sono quelli che il Cura Italia ha mandato a casa. Le decisioni sono state prese dalla magistratura di Sorveglianza che non ha fatto che applicare la legge, attenendosi ai parametri dettati dal decreto. “Lo Stato ha perso due volte: prima nel momento in cui non ha saputo difendere i cittadini dai criminali e secondo quando umilia le famiglie o chi ha subito i reati con la scarcerazione dei loro aguzzini”. Così ha comentato le scarcerazioni Aldo Di Giacomo, segretario del Sindacato polizia pentenziaria Spp. E non è il solo. In princpio fu Zagaria. E’ stata quella la vera e propria pietra dello scandalo. Ma chi sono i beneficiari partenopei delle scarcerazioni? nel lungo elenco stilato dal Dap spiccano diversi nomi anche ‘pesanti’. Come quello di Carmela Gionta, 71enne sorella del superboss Valentino Gionta, recluso al carcere duro e fondatore dell’omonimo clan più potente di Torre Annunziata.
C’è Abramo Saulino, già coinvolto nella maxioperazione che fu ribattezzata Piazza Pulita e che colpì la mala di Forcella collegata alle organizzazioni Mazzarella e Giuliano. E, restando in tema di Mazzarella, spicca il nome di Salvatore Fido, omonimo del giovane reggente noto come O Chiò. Ai domiciliari Antimo Rolando Vasapollo del Parco Verde, ritenuto il gestore di una delle piazze di spaccio del quartiere. Fu tra i destinatari di unordinanza per detenzione di stupefacente a fini di spaccio. Scarcerato di recente anche Antonio Di Maro, di Quarto, accusato di intimidazioni ad un parente di un collaboratore di giustizia. C’è poi Santa Mallardo, sorella del defunto boss di Giugliano Feliciano Mallardo. E ancora Biagio Iazzetta, ritenuto esponente di spicco degli Abete-Abbinante e presunto referente del gruppo per la zona di Mugnano. E non mancano i soggetti accusati di omicidio, come Ferdinando Muollo, ritenuto il mandante dell’omicidio di Salvatore Ridosso. A disporne la scarcerazione provvisoria è stato il magistrato di Sorveglianza di Salerno a causa delle precarie condizioni di salute del 57enne. Sta scontando una condanna definitiva a 12 anni e 6 mesi.
C’è l’ercolanese Vincenzo Lucio, ritenuto un sicario dell’organizzazione criminale dei Birra e condannato all’ergastolo per omicidio. Ha ottenuto i domiciliari anche se non si trovava al 41bis. Ai domiciliari di recente è finito anche Giosuè Belgiorno. Per lui i giudici hanno disposto la scarcerazione in accoglimento del ricorso presentato dagli avvocati Massimo Autieri e Raffaele Chiummariello. La X sezione del Riesame lo ha giudicato incompatibile con il carcere a causa di una grave patologia da cui è affetto. Belgiorno è indicato come inserito nella costola maranese degli scissionisti. Uno degli uomini di Mariano Riccio, genero di Cesare Pagano. Sta scontando una condanna a vent’anni di reclusine l’omicidio e l’occultamento del corpo di Antonino D’Andò. E ancora ci sono Luigi Prinno, Pasqualina Pastore (convivente di Salvatore Torino), Salvatore Silvestri, Mario Abbatiello, Alfonso Cesarano, Armando Savorra, Eduardo Architravo, Antonio De Luca, boss del clan Rea-Veneruso di Casalnuovo, scarcerato dalla Corte di Appello di Napoli, Salvatore Perrella (festeggiato con i fuochi d’artificio al rione Traiano) e Adolfo Greco di Castellamare di Stabia.
Il rischio delle evasioni dopo l’annuncio
NAPOLI (gs) – Tutto è iniziato quando per l’emergenza Coronavirus i boss detenuti al 41 bis, se anziani e affetti da patologie, hanno iniziato a tornare in libertà. E’ accaduto al capomafia palermitano Francesco Bonura, tra i padrini più influenti di Cosa Nostra, a cui il giudice di sorveglianza del tribunale di Milano ha permesso di lasciare il carcere di Opera per i domiciliari. Il nuovo corso ha provocato trasversalmente la disapprovazione della politica e dell’esecutivo giallorosso con in testa il Guardasigilli Alfonso Bonafede. Agli attacchi frontalli il ministro ha replicato parlando di “inaccettabile sciacallaggio. Sostenere che alcuni esponenti mafiosi sono stati scarcerati per il decreto legge Cura Italia – ha affermato il ministro della Giustizia – non solo è falso, è pericoloso e irresponsabile”. Poi ha scaricato il famigerato barile affermando che si è trattato di “decisioni assunte dai giudici nella loro piena autonomia che in alcun modo possono essere attribuite all’esecutivo”.
Non poteva fare niente, insomma. Salvo poi fare qualcosa poco dopo emettendo un decreto in base al quale, in occasione di possibili scarcerazioni, i giudici di Sorveglianza dovranno consultare i colleghi dell’Antimafia. Il presidente dell’Antimafia siciliana, Claudio Fava, come anche numerosi sindacalisti della polizia penitenziaria, che “il 41 bis è la migliore forma di tutela della salute, nel momento in cui da mesi si sostiene che l’isolamento e la quarantena sono le forme migliori di prevenzione”. Non ci piove, per sua stessa ontologia, il 41bis isola. Anche dal rischio pandemico. Torniamo al decreto. Con il coinvolgimento dell’Antimafia il problema è stato risolto? Nient’affatto. Anzi, si rischia che la pezza possa fare più danni del buco. Perché di decreto ce n’è un altro, anche se solo annunciato e ovunque è scattato il campanello d’allarme sul possibile rischio evasioni.
Ma cosa ha detto Bonafede? Il ministro della Giustizia ha annunciato contestualmente al question time alla Camera che era pronto “ad horas un nuovo decreto legge per riportare in carcere i boss scarcerati per motivi di salute”. Una pezza che ha anche le forme e i contorni dell’incostituzionalità perché una legge o, in questo caso, un decreto, non può correggere una sentenza. Questione di principi e di separazione dei poteri. Ma cosa contiene? Il provvedimento dovrebbe dare ai giudici di Sorveglianza la possibilità di fare nuove valutazioni entro trenta giorni. Quasi come se si trattasse di un Riesame del tribunale di Sorveglianza. Un pasticcio, dunque. Coram populo il commento: “Per rimandare in prigione chi è stato scarcerato rischia di provocare la fuga dei mafiosi scarcerati: prima i decreti si approvano, si riportano i mafiosi in cella e poi si annunciano, invece il ministro della Giustizia Bonafede ha fatto il contrario”.