Da Mururoa a via della Scrofa

Vincenzo D'Anna

E’ noto a chiunque non sia un fazioso della politica, che il pacifismo in Italia è uno degli strumenti utilizzati dalla Sinistra, nella sua completa articolazione partitica, per protestare contro i governi ritenuti antagonisti della medesima. Scavando nelle personali reminiscenze, ricordo che da studente partecipai, anch’io, a manifestazioni di piazza contro gli esperimenti atomici che i Francesi effettuavano negli atolli polinesiani di Mururoa, lontane colonie ancora in mano a loro. Il primo test fu quello del 2 luglio 1966. Altri ancora seguirono a distanza di tempo per provare ordigni di maggiore potenza e per emulare  gli esperimenti di Russi ed Americani. Incalzava a quei tempi il clima della contestazione  studentesca nelle università statunitensi. Un clima che ben presto avrebbe contagiato le masse giovanili anche in Europa, a cominciare dal “Maggio francese” del 1968. Insomma: contestazioni contro il “sistema” delle istituzioni tradizionali borghesi e pacifismo si mischiarono, allora, inesorabilmente, confondendosi ed alimentandosi a vicenda. Furono  questi,  il clima e la mentalità nei quali  la contestazione politica si saldo’ avvalendosi della massa  studentesca e  pacifista. Un binomio che si è trascinato fino ai giorni nostri mischiandosi spesso con un altro cavallo di battaglia della “Gauche” Europea, quello della difesa ambientale, ovvero  l’aggressione spregiudicata del capitalismo e del profitto  all’ambiente. Insomma più crollava il mito del socialismo reale e della società forzosamente perfetta degli eguali, più i maître a  penser  organici al movimento comunista diversificavano l’obiettivo della lotta e della protesta, cogliendo al volo nuove parole d’ordine per sopravvivere ed alimentare il dissenso. In Italia ne abbiamo viste di tutti i colori: dai gruppi armati extraparlamentari ai più disparati movimenti di opinione che innalzavano nuove bandiere ideologiche pur ammantate da identici propositi. Dagli ecologisti ai verdi, dai contestatori arancione e viola, ai  girotondini e le sardine, dai movimenti ecclesiali a quelli laici e rivoluzionari. Il pacifismo è stato un punto alto e ricorrente di tutte queste aggregazioni, il collante contro il capitalismo, il mercato di concorrenza ed il liberalismo, ritenuti i principali obiettivi da cancellare per ottenere un mondo pacifico e migliore. Come un fiume carsico il pacifismo è spesso emerso, fragorosamente, riproponendosi all’opinione pubblica tutte le volte che il sentimento anti Americano e quello delle big society liberali, prendeva il sopravvento. La contestazione era sempre e comunque rivolta contro l’imperialismo  guerrafondaio a stelle e strisce, la società dei consumi e  l’induzione  del bisogno del sistema capitalistico. Viceversa si assopiva fino a scomparire quando i guerrafondai appartenevano a regimi socialisti, agli aneliti di libertà dei popoli sotto il tallone Sovietico o similari, i conflitti, soprattutto quelli medio orientali,  innescati dai movimenti marxisti. Tollerati perché camuffati da insorgenze libertarie di popoli oppressi da governi e Stati liberali. Israele, ad esempio, per decenni è stata aggredita dagli arabi perché ritenuta la patria del Sionismo, inteso come imperialismo ebraico. Ancorché  si trattasse di difendere sanguinari gruppi terroristici come Hamas, che si proponevano di cancellare Israele dalla faccia della Terra, la lotta pacifista era sempre sbilenca e strabica in favore dei rivoltosi. E siamo all’oggi. Come già previsto sulle colonne di questo stesso giornale, il governo Meloni si troverà ad affrontare mille insidie e proteste di piazza inscenate, ovviamente, in nome della libertà e della democrazia. Gli allarmi democratici si susseguiranno con varie motivazioni ed i moti di piazza saranno all’ordine del giorno, surrogando il ruolo delle opposizioni parlamentari divise e deboli al tempo stesso. Un copione già visto nei tempo dell’egemonia politica democristiana, del governo a guida socialista di Bettino Craxi, del Berlusconismo inteso come origine di ogni degrado materiale e morale. I voti delle urne contano poco se la protesta è di piazza, se le scalmane coprono l’assenza di vere e concrete motivazioni attingendo ai pregiudizi ed alle strumentalizzazioni di eventi che con l’azione  del governo c’entrano poco o niente. Rieccoci dunque agli agitatori di mestiere, allle proteste a senso unico. Ieri molte città sono state paralizzate da cortei studenteschi e da rappresentanze politiche e sindacali della Sinistra che sfilavano per la pace. Non si capisce quale pace se non che l’Ucraina dovrebbe piegarsi all’aggressione russa, cancellare distruzioni, atrocità, stupri, torture e fosse comuni ed il diritto degli Stati di essere liberi e sovrani, perché le bollette del gas e della luce sono care. Insomma un volgare baratto di convenienza sulla pelle di un altro popolo, come se arrendersi alla tracotanza del più forte non innescasse altri abusi ed altre  proditorie conquiste. Lo spauracchio della guerra nucleare agitato da Putin terrorizza sia le anime belle che quelle più scaltre ed interessate a tenere i piedi a caldo e la pancia piena. Mal che vada si protesta e poco importa se contro l’atomica scoppiata a Mururoa oppure se contro quella scoppiata in via della Scrofa, sede del partito della Meloni.

*già parlamentare

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