Di Lauro trasferito a Sassari. Per il boss disposto il 41bis

Foto LaPresse - Alessandro Pone

NAPOLI – Il trasferimento in Sardegna era l’anticamera del carcere duro, il famigerato regime previsto dall’articolo 41bis. Come il padre Paolo e il fratello Cosimo, anche Marco Di Lauro è stato destinato alla particolare detenzione prevista dalla legge Gozzini che fu approvata il 10 ottobre 1986. Cosa aspetta all’ex primula rossa della camorra? Un regime detentivo volto a ostacolare le comunicazioni dei reclusi con le organizzazioni criminali, i contatti tra appartenenti alla stessa organizzazione criminale nello stesso carcere e i contatti tra gli appartenenti a diverse organizzazioni criminali.

Un regime detentivo che, tra le altre cose, mette il soggetto che ne è destinatario in isolamento rispetto agli altri detenuti, con una camera singola e senza accesso a spazi comuni. Limitazioni consistenti, come la stessa ‘ora d’aria’ che, di fatto, prevede due ore al giorno di uscita dalla cella. Anche queste in regime di isolamento. Marco Di Lauro dopo un passaggio nei penitenziari partenopei, ha preso la sua destinazione di detenuto speciale. Un nuovo status per lui che, prima di sabato 2 marzo, non aveva mai varcato la soglia di un carcere. Apparve tranquillo al momento del blitz, quasi un pesce fuor d’acqua nel momento del confronto con i magistrati dopo la sua storica cattura. Un arresto atteso da oltre 14 anni.

“Io voglio stare tranquillo, perché mi ritenete pericoloso?”. Così chiese ieri mattina al gip del tribunale di Napoli Pietro Carola davanti al quale sostenne l’interrogatorio di garanzia relativo alle accuse di associazione a delinquere finalizzata al traffico ed allo spaccio di stupefacenti. Era infatti, tra l’altro, destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare che risale al 2015. Assistito dai suoi legali di fiducia, gli avvocati Gennaro e Luigi Pecoraro, il figlio del boss Paolo, meglio conosciuto come Ciruzzo ’o milionario scelse di non far verbalizzare le sue parole, decidendo di avvalersi della facoltà di non rispondere. Rilasciò di fatto una sola dichiarazione spontanea in cui specificò di non essere “mai stato all’estero”, facendo (apparentemente) chiarezza sulle tante voci – a suo dire in fondate – su una latitanza trascorsa in molti posti, persino fuori dal Paese. Il 38enne fu arrestato al termine di un blitz al quale avevano partecipato polizia, carabinieri e guardia di finanza: portato negli uffici della Questura di Napoli gli fu notificato un definitivo pena per associazione a delinquere di stampo mafioso con condanna ad 11 anni e mezzo di reclusione.

In merito alla contestazione di essere il mandante dell’agguato avvenuto nel 2007 al parco acquatico di Licola ‘Magic World’ in cui morì Nunzio Cangiano, Marco Di Lauro aveva invece già rimediato l’assoluzione. Nel suo primo confronto con la giustizia apparve visibilmente confuso, come se quella ‘normale latitanza’ durata 14 anni gli abbia fatto perdere il contatto con la realtà, quella vera. “Perché dite che sono pericoloso? – chiese in una stanza colloqui del carcere di Secondigliano – io voglio solo stare tranquillo”. Toni pacati per una persona che appariva fuori posto, come se non si fosse ancora reso conto di essere stato arrestato e di dover pagare un salato conto con quello Stato che ha messo la parola fine al suo status di ‘primula rossa’. “Io stavo a casa mia, non sono mai andato fuori, all’estero” ribadì Di Lauro jr, indicato come ‘F4’, un codice identificativo che sta per quarto figlio. Il quarto di una nidiata di 11 figli tutti maschi. Camorra vecchio stampo, che ha indicato nel figlio più grande ancora in libertà come il depositario del potere del clan. Il capo, in sostanza, che ad oggi risulta essere suo fratello Vincenzo.

Tutte le parole di Marco Di Lauro ovviamente non sono state messe a verbale perché la strategia difensiva ha visto prevalere la scelta della facoltà di non rispondere. Anche questo aspetto, comunque, l’ha visto un po’ turbato: “Perché mi dovete registrare? Io voglio solo stare tranquillo”. Preso il secondo latitante più pericoloso d’Italia, le attenzioni di forze dell’ordine e Dda si concentrano sulla possibilità di scovare i proventi illeciti accumulati in anni di gestione del malaffare nella zona nord di Napoli ed eventualmente investiti in attività commerciali che ad oggi risultano pulite.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome