Ahinoi, ci tocca parlare ancora di Matteo Renzi. Pensavamo di essercene liberati per sempre. Che avesse finalmente capito che da quando si è rimangiato la promessa di ritirarsi dalla politica gli italiani sono allergici alla sua voce, alla sua faccia, alle sue formidabili performance masochistiche.
E invece no. Qualche genio della comunicazione, probabilmente lo stesso che gli ha consigliato la mossa suicida sul referendum costituzionale, deve avergli dato un altro pessimo suggerimento: minacciare querele a personaggi piĂš popolari e simpatici di lui.
Il cantante Piero PelĂš, Marco Travaglio e il Fatto Quotidiano, la giornalista Rai Miriano, lo chef Vissani (dopo due giorni mi fa ancora ridere), la DâEusanio, Panorama, il sottoscritto per un editoriale su Cronache e la povera signora di Bologna che col salvabanche ha perso tutti i risparmi e ha avuto la faccia tosta di lamentarsene.
Beh, obiettivo raggiunto. I giornali sono tornati a parlare del bulletto. Io ho ringraziato il collega Bordin perchĂŠ con la sua prematura scomparsa mi ha dato almeno la possibilitĂ di scrivere di un personaggio che ha lasciato un segno nella storia del nostro Paese e di trascurare le farneticazioni del Bomba.
Il “ducetto di Rignano sull’Arno” e l’alt di Napolitano
Poi ci ho ripensato e mi è venuta voglia di riprendere lâargomento. PerchĂŠ non è la prima volta che il âducetto di Rignano sullâArnoâ prova a tapparci la bocca. Insieme al sottosegretario allâEditoria Luca Lotti tentò di sopprimere il fondo per il pluralismo dellâinformazione.
Fu solo grazie allâintervento del suo âdante causaâ, Giorgio Napolitano, che il piano venne accantonato. Prima ancora era stato Silvio Berlusconi, per ovvie ragioni, a dare una robusta sforbiciata al sostegno ai piccoli editori. Nel 2001 e poi nel 2008, con lâallora sottosegretario Paolo Bonaiuti.
Ma anche DâAlema, Prodi e Monti hanno tentato a tutti i costi di togliere di mezzo i principali concorrenti dei grandi gruppi editoriali, quelli controllati dai signori del cemento e della finanza, quelli che da dietro le quinte muovono i fili dei politici di turno, quando non scendono direttamente in campo.
Il taglio ai finanziamenti e alla libertĂ di stampa
I finanziamenti sono cosĂŹ passati da 800 a 50 milioni lâanno. Molti giornali hanno chiuso i battenti, centinaia di giornalisti hanno perso il lavoro, lâanarchia che regna su Internet (nessuno vuole metterci mano seriamente) e il moltiplicarsi dei giornali online che vivono di collaborazioni informali ha fatto il resto.
Sono sopravvissute 52 testate, che grazie al sostegno pubblico hanno potuto garantire ai propri lettori unâinformazione libera dalle distorsioni che i finanziamenti privati possono comportare. Un aiuto senza il quale la libertĂ di stampa prevista dallâarticolo 21 della Costituzione resterebbe lettera morta.
PerchÊ fare informazione diventerebbe un privilegio riservato ai pochi, potenti e ricchi imprenditori che, a costo di rimetterci, tengono su le redazioni per fare pressioni sulla politica e tutelare i propri interessi in altri settori. Nessuno, finora, si è voluto prendere la responsabilità politica di un simile disastro.
Il “ducetto di Pomigliano” e il favore ai “giornaloni”
Nessuno tranne i grillini, naturalmente. Il âducetto di Pomiglianoâ e il fido Crimi hanno messo da parte le questioni âsecondarieâ come la convenzione con Autostrade, il conflitto dâinteressi di Berlusconi e la legge elettorale e con somma urgenza hanno cancellato il fondo.
Naturalmente i âgiornaloniâ con i quali fanno finta di litigare non chiuderanno, anzi. Grazie alla strage della concorrenza, permetteranno ai loro padroni di controllare una fetta ben piĂš consistente dellâinformazione in Italia. Gli editori saranno piĂš pochi e saranno quelli che hanno le mani in pasta ovunque.
In questo scenario da incubo, la querela di Renzi al nostro giornale fa sbellicare. Lui, che faceva colazione a palazzo Chigi con lâeditore di Repubblica e lâEspresso Carlo De Benedetti. Lui, che ha stretto il patto del Nazareno con il Berlusconi di Mondadori e Mediaset.
Eppure anche nel male è stato incapace di fare gli interessi dei suoi amici. Câè voluta la ârivoluzione grillinaâ per abolire lâarticolo 21 della Costituzione. Nemmeno lâallarme lanciato da Sergio Mattarella (âIl pluralismo è un presidio irrinunciabile dello Stato democraticoâ) ha potuto scongiurare il disastro.