PALERMO (LaPresse) – La Direzione Investigativa Antimafia di Palermo ha eseguito un decreto di confisca di beni nei confronti di Giuseppe Acanto. 58enne ritenuto legato ai vertici di Cosa nostra di Villabate. L’uomo, candidato alle elezioni amministrative del 2001 con la lista Biancofiore, con il sostegno della cosca locale, risultò il primo dei non eletti. Riuscendo poi comunque ad accedere ad un seggio all’Assemblea Regionale Siciliana.
Il provvedimento scaturisce dagli esiti di un’indagine
Indagine che, già in passato, aveva consentito di accertare la gestione da parte di Acanto della contabilità di società riconducibili alla famiglia mafiosa di Villabate. Particolarmente significative le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Campanella, braccio destro di Nino Mandalà. Quest’ultimo, boss di Villabate di stretta ‘osservanza’ corleonese, fra gli anni 2002 e 2004 ebbe l’incarico di gestire un periodo di latitanza. Latitanza dell’allora ricercato Bernardo Provenzano. Curandone gli aspetti logistici, assistenziali ed amministrativi legati al ricovero in una casa di cura a Marsiglia.
L’attività della Dia ha permesso di accertare come Acanto fin dagli anni ’90 fosse socio in affari illeciti con Giovanni Sucato. Il cosidetto ‘mago dei soldi’ che dopo aver truffato migliaia di persone, sparì poi con un ingente capitale. E il cui cadavere fu trovato carbonizzato nel 1996 all’interno della propria auto. Anche Acanto, dopo aver subito l’incendio del suo studio, si rese irreperibile. Nel 1994, dopo essere stato perdonato, riprese l’attività di commercialista. Dedicandosi alla costituzione di società in nome e per conto degli uomini d’onore.