TARANTO – Parola alla Corte di giustizia europea. La class action, promossa da un gruppo di cittadini di Taranto per ottenere la chiusura dell’area a caldo dell’ex Ilva, è stata sospesa dai giudici del tribunale di Milano per i quali, ai fini della decisione, è necessario avere “chiarimenti interpretativi” per stabilire la legittimità rispetto alla normativa europea delle norme che hanno regolato il regime speciale di autorizzazione integrata ambientale, essendone la base legale per l’attività svolta nel siderurgico. Da ultimo il Dpcm del 2017.
Si tratta della fase preliminare dell’azione inibitoria promossa lo scorso settembre da un gruppo di cittadini, composto da 10 genitori e un bambino di 8 anni affetto da una malattia rara. Il tribunale, sezione specializzata in materia di impresa, presieduto da Angelo Mambriani, si è pronunciato il 16 settembre con ordinanza. I quesiti sottoposti in via pregiudiziale alla corte di giustizia europea sono tre.
Il primo riguarda la direttiva relativa al “principio di precauzione e protezione della salute” e se possa essere interpretata nel senso che, “in applicazione di una legge nazionale, è concessa allo Stato la possibilità di prevedere che la Valutazione di Danno Sanitario (Vds) costituisca atto estraneo alla procedura di rilascio e riesame dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) e la sua redazione possa essere priva di automatici effetti in termini di tempestiva ed effettiva considerazione da parte dell’autorità competente nel procedimento di riesame dell’Aia, specialmente quando dia risultati in termini di inaccettabilità del rischio sanitario per una popolazione significativa interessata dalle emissioni inquinanti” oppure se la direttiva debba essere interpretata nel senso che “il rischio tollerabile per la salute umana può essere apprezzato mediante analisi scientifica di natura epidemiologica”.
Con il secondo quesito relativo all’Aia si chiede “se debba considerare tutte le sostanze oggetto di emissioni scientificamente note come nocive, comprese le frazioni di Pm10 e Pm2,5 comunque originate dall’impianto oggetto di valutazione” oppure se la direttiva possa essere interpretata nel senso che “l’Aia deve includere solo le sostanze inquinanti previste a priori in ragione della natura e tipologia dell’attività industriale svolta”. Con il terzo quesito si chiede se lo “Stato, in presenza di un’attività industriale recante pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute, possa differire il termine concesso al gestore per adeguare l’attività industriale all’autorizzazione, realizzando misure e attività di tutela ambientale e sanitaria previste, per circa 7 anni e mezzo dal termine fissato inizialmente e per una durata complessiva di 11 anni”.
Per i legali Ascanio Amenduni e Maurizio Rizzo Striani che rappresentano i tarantini, “il cielo appare meno plumbeo sul destino ambientale di Taranto”. “Invece di essere stroncato sul nascere, il volo della class action è stato mandato in orbita europea dal tribunale di Milano che ha rigettato tutte le avverse eccezioni preliminari”. Se la chiusura non dovesse essere accolta, i legali hanno chiesto al tribunale di imporre il rispetto del diritto al clima, ordinando un piano di abbattimento delle emissioni del 50%.
di Stefania De Cristofaro