Fermo pesca per rigenerare il mare

NAPOLI – Un periodo di stop per permettere al mare di rigenerarsi. Il fermo biologico è un periodo di tempo durante il quale è proibita la pesca in determinate aree. La normativa è in vigore da ormai 30 anni, voluta fortemente dall’Unione Europea per tutelare il patrimonio ittico dei mari, favorendo la riproduzione naturale delle specie più pescate. In Italia ogni anno il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali stabilisce un calendario che indica anche le aree del Mediterraneo in cui è in vigore la sospensione. Ma a cosa serve questa norma? Lo scopo è aiutare la natura bersagliata dal sovra-sfruttamento degli stock ittici. Fermare la pesca per un certo numero di giorni consecutivi permette ai pesci di completare il ciclo riproduttivo senza pericoli, e in questo modo si aiuta la fauna dei mari più battuti dai pescherecci a crescere.

Pesca a strascico
La pesca a strascico è un metodo di pesca che consiste nel trainare attivamente una rete da pesca sul fondo del mare. Questo tipo di attività ha un notevole impatto sull’ambiente marino. Le reti a strascico infatti distruggono o asportano qualunque cosa incontrino sul fondale: pesci, invertebrati, coralli, alghe, posidonie, eccetera e lasciano un ambiente devastato dove le comunità biotiche originarie si potranno reimpiantare solo dopo molto tempo. Un altro serio problema è la non selettività: lo strascico raccoglie tutto, specie commerciali e non commerciali, adulti e giovani.

Il calendario
Con un decreto il 15 febbraio scorso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha individuato i periodi di interruzione temporanea obbligatoria delle attività di pesca per l’annualità 2022 al fine di rafforzare la tutela delle risorse e migliorare la sostenibilità delle attività di pesca. Per quanto riguarda il Mar Adriatico, nel tratto che va da Trieste ad Ancona, lo stop va dal 29 luglio all’11 settembre, da San Benedetto del Tronto a Termoli barche ferme dal 16 agosto al 21 settembre, da Manfredonia a Bari il fermo va dal 29 luglio all’11 settembre. Siamo in fondo allo Stivale, in quel tratto di Mediterraneo che va dall’Adriatico al Tirreno, passando per lo Ionio: da Brindisi a Gaeta non si pesca dal 5 settembre al 4 ottobre. Da Roma a Civitavecchia lo stop alle attività cadeva dal 13 giugno al 12 luglio. Infine, da Livorno ad Imperia, il divieto va dal 3 ottobre al 1 novembre. Entro il giorno di inizio del periodo d’interruzione temporanea obbligatoria continuativa l’armatore provvede a consegnare all’Autorità marittima i documenti di bordo, compreso, ove previsto, anche il libretto di controllo dell’imbarco e del consumo del carburante. Nonostante l’interruzione dell’attività, sulle tavole delle regioni interessate, è comunque possibile trovare prodotto italiano, dal pesce azzurro come le alici e la sarde, al pesce spada, dalle vongole e cozze provenienti dalla barche della piccola pesca e dall’acquacoltura, che assicura anche orate e spigole.

Adriatico fermo
Da due giorni il Mar Adriatico è off limits per i pescherecci. Dopo le attività interrotte (da Trieste ad Ancona e da Manfredonia a Bari) lo stop è attivo ora anche nel tratto di costa che va da San Benedetto a Termoli, con una copertura che si estende ormai a tutto l’Adriatico. Niente pesce fresco in tavola, ma il problema non riguarda solo i consumatori, anzi. Il fermo cade quest’anno in un momento difficile, denuncia Coldiretti Impresapesca, poiché il blocco dell’attività va a sommarsi al caro carburanti con il prezzo medio del gasolio per la pesca che è praticamente raddoppiato rispetto allo scorso anno costringendo i pescherecci italiani a navigare in perdita o a tagliare le uscite e favorendo le importazioni di pesce straniero, considerato che fino ad oltre la metà dei costi che le aziende ittiche devono sostenere è rappresentata proprio dal carburante. Non a caso gli arrivi di prodotti ittici dall’estero sono aumentati del +34% in valore nei primi cinque mesi del 2022, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat. Senza dimenticare gli effetti della siccità con la mancanza di acqua per garantire il ricambio idrico e l’aumento della salinità lungo la costa Adriatica che ha causato una perdita del 20% della produzione di vongole e cozze negli impianti di acquacoltura del delta del Po.

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