FI: lascia anche Brunetta, per Carfagna è quasi addio. Cav, traditori riposino in pace

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Renato Brunetta

ROMA – “Chi tradisce” Forza Italia “riposi in pace”. L’effetto domino innescato dallo strappo di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini al governo di Mario Draghi, travolge il partito azzurro. E non è una sorpresa. Il Cav, però, tira dritto, gli addii di Maria Stella Gelmini, Renato Brunetta e Andrea Cangini, erano prevedibili e annunciati. Lo stesso vale per la presa di distanze di Mara Carfagna. Benchè Berlusconi tenda a derubricare perché “chi va via non meritava di restare” – è la sua filosofia – gli strascichi dell’asse con il Carroccio e la ritrovata sintonia con Giorgia Meloni non passeranno inosservati nell’ala moderata e liberale del partito.

Nelle parole di Brunetta la sintesi di un malcontento che, assicurano, provocherà altre emorragie. “Non sono io che lascio, ma è Forza Italia, o meglio quel che ne è rimasto, che ha lasciato se stessa e ha rinnegato la sua storia”, l’attacco al vetriolo dell’esponente azzurro. Due ministri su tre, ed è il verbo di Mara Carfagna il più atteso. La titolare per il Sud non resta in silenzio, ma è il suo ‘distinguo’ seppur meno tranchant a pesare. Carfagna prende le distanze mettendo nero su bianco di non aver “condiviso” una scelta “che sono convinta vada contro l’interesse del Paese e di cui non ho mai avuto l’opportunità di discutere in una sede di partito”.

L’attacco è diretto, la deputata campana – già capofila di battaglie in passato contro la deriva salviniana e sovranista che aveva preso Fi – rimarca l’assenza di dialogo tra il suo leader e i ministri che hanno sempre portato con orgoglio a palazzo Chigi i valori azzurri. Carfagna tuttavia non strappa, non lascia Fi, ma parla di una “frattura” che le “impone di prendere le distanze e di avviare una seria riflessione politica”. Un quasi addio, dunque, che ha il sapore di una separazione, ma ancora non di un divorzio.

Forza Italia tuttavia non si ferma, Berlusconi guarda al futuro e annuncia una campagna elettorale “avveniristica”, escludendo la lista unica ma non chiudendo alla Federazione con la Lega di Salvini. “Ci sono differenze di posizioni, linguaggio e storia, preferiamo continuare a mantenere la nostra identità”, scandisce. L’ex premier, dunque, fa finta che nulla sia successo e anche i rumors di altre fuoriuscite non lo scompongono, anzi chi ha intenzione di andarsene deve sapere che è sostituibile. Le porte del partito sono, infatti “spalancate” a chiunque volesse “aggiungersi a noi e avesse come base della sua azione politica, la nostra politica e i nostri valori”, l’avviso ai naviganti.

Il Cav non ne vuole sapere, poi, di accollarsi l’onta di aver mandato a casa l’autorevole Mario Draghi, quello che lui stesso aveva portato alla guida della Bce e che aveva voluto per il governo di salvezza nazionale. In un colloquio con Repubblica, il leader azzurro riversa sul capo di palazzo Chigi il patatrac: “Non volevamo far cadere Draghi, ma si è reso indisponibile a un bis. Probabilmente era stanco e ha colto la palla al balzo per andarsene. In ogni caso ha scelto lui e adesso siamo già al lavoro per un nuovo governo di centrodestra”, la sottolineatura. Da Villa Grande, dunque, Berlusconi lancia il suo manifesto, tutto proiettato verso le urne, fissate dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, il 25 settembre.

L’ordine di scuderia è quello di ‘capitalizzare’ l’esperienza Draghi e disinnescare la nascita del ‘grande centro’ a cui lavorano Giovanni Toti e Carlo Calenda. Un risultato che può essere raggiunto solo con una coalizione forte anche a trazione Fdi – il ragionamento – anche se si dovrà sacrificare quella parte del partito che aveva giurato di non voler morire ‘sovranista’.(LaPresse)

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