Filosofi e fedeli

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

È nel tempo del pericolo incombente che la mente si interroga sul valore dell’esistenza, scrutando i reconditi meandri della coscienza. Benedetto Croce, il più grande filosofo italiano del secolo scorso, spiegò magistralmente perché non potevamo non dirci Cristiani. Il saggio crociano non aveva niente a che fare con la fede, con il trascendente, era solo la dissertazione di un filosofo che attribuiva ai principi morali del Cristianesimo il valore fondante della più grande rivoluzione etica mai vista sulla faccia della Terra. Certo anche prima della venuta di Gesù grandi uomini di scienza e di pensiero avevano dato vita a studi e scoperte che avevano emancipato l’umanità. Tuttavia solo con la venuta del Salvatore si è operata una rivoluzione al centro dell’uomo e concetti come amore per il prossimo, carità e fraternità sono divenuti principii universalmente condivisi. Le basi per costruire un nuovo umanesimo. Argomenti, quelli del filosofo liberale abruzzese, utilizzati per ribadire che i valori cristiani erano da considerarsi l’unico contrasto al neo paganesimo del secolo dei totalitarismi. Parliamoci chiaro: anche in questo scorcio di terzo millennio abbiamo patito la violenza dei conflitti di religione, quella delle guerre civili, il ribaltamento, per mano militare, di governi eletti democraticamente. Violenze diffuse e sanguinarie in grado di riproporre la domanda sulla possibilità di instaurare una duratura coesistenza pacifica tra i popoli, e più in generale la capacità dell’uomo di poter dare un senso compiuto alla propria esistenza ed un fine ultimo alla propria vita.

Possiamo, anche in questo primo quarto del ventunesimo secolo, continuare a dirci seguaci di Cristo utilizzando il messaggio morale dell’amore per il prossimo, la moralità e la fratellanza come binari sui quali incanalare la società liquida e veloce, avida e globalizzata che ci pervade? La Pasqua, il sacrificio del figlio di Dio, il mistero del sepolcro vuoto, sono dogmi di fede per i Cattolici, una fede intrisa anche di valori laici che sono da esempio e guida anche per chi non crede. Spogliare la Pasqua dei valori che trascendono la fede, significa limitarla ad una celebrazione circoscritta ai soli credenti. Un rituale commemorativo della passione, morte e resurrezione di Gesù. Se invece guardiamo alla forza rivoluzionaria dei postulati morali che da quella fede scaturiscono, scopriamo che questo giorno diventa il giorno della pace tra i popoli basata sui valori etici senza i quali tutto si circoscrive e si banalizza. La morte di milioni di uomini in tutto il mondo, per una malattia virale, spinge molta gente a riflettere sulla reale necessità di vivere per rincorrere solamente i beni materiali, coltivare sentimenti di dominio e di potere, guardare alla globalizzazione economica, alla ricchezza delle Nazioni come il nuovo Dio da adorare. I limiti ed i divieti del “lockdown” hanno separato ancor più le famiglie e gli affetti. Milioni di persone sono sole e spesso angosciate dall’interrogativo che grava sul proprio futuro. Allora la Pasqua può diventare qualcosa che richiamando i valori del Cristianesimo, possa unire credenti e laici sotto la stessa bandiera dell’amore per il prossimo, la legge morale e finanche la speranza che alla vita terrena possa seguire qualcosa che non sia il nulla. Risorgere significa non solo poter sperare in qualcosa dopo la morte, ma anche emendarsi da errori ed omissioni, quelli che i credenti chiamano peccati.

I Cattolici, così detti dall’etimo greco “tutt’uno, tutto intero”, sanno che la Pasqua è il sepolcro vuoto, la resurrezione dei corpi e la vita nel mondo che verrà. Sembrano valori dogmatici, buoni per coloro che hanno la fede, forse a causa di credenze indotte e tramandate, ma così non è affatto. Chi crede non si arrende alla caducità senza rimedio della propria vita, al destino di un ruolo biologico volto solo a garantire la sopravvivenza della specie. A chi ed a cosa servirebbe, altrimenti, l’etica della fratellanza, la purezza dei valori esistenziali, l’amore per il prossimo, il soccorso ai più deboli, se la vita non avesse uno scopo che si eleva oltre il semplice vissuto? Se tutto potesse essere spiegato negando Dio, allora tutto potrebbe essere costruito, nel mondo, negando i valori morali sui quali la fede poggia. Gli scientisti credono nel Big Bang, il grande scoppio della materia primordiale nell’universo, ancorché ne sia scaturito un ordine perfetto, che governi miliardi di miliardi di stelle e sistemi solari. Gli atei credono nella vita fatta di valori civili, ma che alla fine lascia solo il ricordo delle cose costruite dai grandi uomini e le opere da essi tramandate. Il resto dell’umanità, quindi, conterebbe poco o nulla nei resoconti delle pagine di storia, come se miliardi di uomini fossero finiti nel nulla. Materia biologica che si riproduce e si degrada, un ben triste scopo per l’umanità. Invero sarebbe diminutivo per tutti, atei e credenti. In fondo credere conviene sia ai filosofi che ai fedeli.

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