Credo che per la lunga militanza politica e i dichiarati intendimenti, chi scrive sia il meno indicato a tessere le lodi della sinistra, soprattutto di quella che fino a poco tempo fa si dichiarava “alternativa”. Era quella una sinistra militante, tutta “libro e moschetto”, e pertanto ancora legata a vecchi schemi di organizzazione sociale e di visione economica. Insomma: una sinistra didascalica, che andava avanti per massime e pregiudizi qualunque cosa fosse accaduta attorno ad essa, in termini di modernità e di evoluzione. Tetragoni ed irriducibili, i fan di quello schieramento ripetevano il mantra marxista della “giustizia sociale”, dell’uguaglianza e della solidarietà come se queste cose le si potesse auspicare e realizzare solo con lo stato padre e padrone, collettivizzando i processi produttivi, omologando gli individui e colpendo al cuore ogni produzione di ricchezza apoditticamente intesa come espressione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Insomma, stiamo parlando di gente che non aveva fatto e non voleva fare tesoro della lezione della Storia, delle evidenze documentate inerenti le tragedie umane, i crimini, gli abusi, la perdita di ogni libertà, perpetratisi nelle società costruire sui dettami dell’ideologia di “falce e martello”. In definitiva: costoro si accontentavano di fare opposizione elitaria senza assumere responsabilità, con l’aura saccente di chi ha sempre qualcosa da criticare. Per fortuna nulla dura in eterno e credo che anche questa categoria di nostalgici vetero comunisti sia andata, via via, spegnendosi, anche per la vocazione al frazionismo ed alle scissioni dei “puri e duri” capaci di farsi fuori a vicenda fondando altri partiti ancor più minoritari. Tuttavia, seppure impercettibilmente, anch’essi, evolvendosi nel tempo ed avvicinandosi anche ad incarichi di governo, hanno dovuto difficoltosamente misurarsi non più con un’astrazione idealizzata della società, bensì con la realtà vera e propria di dover risolvere problemi ed assumere responsabilità politiche. Insomma: lasciato da parte lo spocchioso settarismo e l’idea di essere in possesso di una superiore etica dei fini, i reduci della sinistra hanno dovuto affrontare la complessità di un mondo che pur facendo a meno del loro pensiero ideologico, è andato avanti egregiamente lo stesso. Che l’evoluzione politica degli ex comunisti abbia preso corpo e cerchi, oggi, di farsi lievito per nuove esperienze, lo si è potuto apprezzare seguendo i lavori del congresso di “Articolo 1”, il partito che ha come segretario Roberto Speranza, ministro della Salute. In quel piccolo raggruppamento milita anche gente del calibro di D’Alema, Bersani, Fornaro, Grasso, anche se quello che di nuovo è stato partorito sembra sia stato dovuto ai più giovani. In disparte la circostanza che finalmente, grazie ad Articolo 1, si sia potuto celebrare un congresso, vale a dire un “luogo” in cui i delegati degli iscritti possono discutere e votare su tesi politiche e programmatiche per indicare una strategia e selezionare una classe dirigente con metodo democratico. Non roba da poco nell’epoca dei partiti “fai da te” a carattere personale con uno stuolo di muti astanti a fare da cortigiani al leader intestatario della “ditta”. A sentire la relazione introduttiva di Speranza si sono potuti cogliere vari aspetti di novità. Il primo è quello di una forza centripeta che invece di rimarcare distanze, cerca assonanze e coagulo intorno ad un progetto, non con la presunzione di chi ha capito più degli altri e pertanto si estranea, ma con l’umiltà di chi ha capacità e bagaglio culturale per potersi confrontare. Il secondo aspetto è quello che si riferisce all’esigenza di rifondare il centrosinistra su nuove basi che tengano conto delle realtà sociali ed economiche e dell’attualità politica. Il segretario ha finanche usato un termine molto aborrito in passato: quellio di arrivare ad un “Partito della Nazione” nel quale si possa portare a sintesi e compimento sia la cultura liberal popolare che quella socialista. Il riferimento, la stella polare di questa operazione, dovrebbe essere la Costituzione nella parte in cui la Magna Carta promuove e favorisce l’uguaglianza tra i cittadini e la tutela dei diritti e delle libertà previste per i medesimi. Un partito, insomma, che ricalchi quello della sinistra europea ove queste forze già convivono. Un progetto che non può destare disapprovazione ancorché lo si possa non seguire, oppure condividere appieno. Chi è convinto che l’Italia abbia bisogno di riformismo e di cambiamenti ispirati all’equità più che all’uguaglianza (che non genera sempre la giustizia) ed al progresso (che non può che nascere da una libera iniziativa economica e sociale ), può certo vedere di buon occhio questo avanzamento verso la social democrazia della sinistra radicale. Se un’analoga presa di coscienza dei valori del liberalismo e del riformismo si attivasse nel centrodestra, non sarebbe male. Finalmente ritornerebbe la politica.