Roma– “L’approvazione della riforma con il meccanismo della improcedibilità per decorso del tempo in appello e cassazione rischia di segnare una grave sconfitta per la giustizia”. Lo dice l’ex pubblico ministero antimafia a Palermo, oggi componente del Csm, Nino Di Matteo, in un’intervista a ‘Repubblica’, oggi in edicola. “La riforma – dice – rischia addirittura di rafforzare i poteri criminali, che da sempre si pongono come regolatori di conflitti nella società: immagino che i mafiosi risolveranno loro le questioni che d’ora in poi non troveranno soluzione nei tanti processi che salteranno”. Alla domanda su quali rischi intraveda nella riforma, il magistrato risponde: “In un sistema democratico, mandare in fumo i processi equivale a denegare giustizia nei confronti di tutti: imputati, anche innocenti, vittime dei reati, cittadini che rispetto a certi fatti hanno il diritto di pretendere che si arrivi a una verità processuale. La denegata giustizia alimenterà inoltre il senso di impunità dei criminali, e tra questi in primo luogo i colletti bianchi; aumenterà a dismisura il prestigio delle organizzazioni mafiose. I boss, purtroppo per noi, arrivano sempre ad emettere ed eseguire le loro sentenze. A differenza dello Stato”.
Secondo Di Matteo, sui processi per fatti di criminalità organizzata “il contraccolpo sarà violento anche per ciò che riguarda il contrasto alle mafie. L’esperienza di oltre 25 anni trascorsi nelle aule di giustizia ad occuparmi di questi dibattimenti mi induce a ritenere che anche molti processi per gravi reati di mafia si estingueranno in appello, dove ormai la regola è la riapertura dell’istruttoria dibattimentale, proprio per la specificità del materiale probatorio. Siamo di fronte a processi dove il percorso di accertamento della verità è inevitabilmente più lungo e complesso”. Dunque, “la prospettiva che anche le accuse più gravi possano svanire nel nulla per il decorso del termine indurrà tutti, anche gli imputati rei confessi, ad appellare comunque le sentenze di primo grado e ad attuare pericolose strategie dilatorie che non sempre il giudice potrà controllare e neutralizzare”, sottolinea Di Matteo.
(LaPresse)