Nei giorni scorsi come Garante dei detenuti ho incontrato un gruppo di reclusi del carcere di Secondigliano, reparti di Alta sicurezza. Il tema affrontato e denunciato da loro è stato la territorialità della pena. Oggi ho incontrato dei familiari di detenuti napoletani trasferiti in Calabria, Sicilia e Umbria. Indubbiamente la lontananza dal luogo di residenza rende difficile e a volte impossibile per il detenuto l’incontro con i familiari, l’assistenza con i servizi territoriali, lo stesso rapporto con l’Avvocato, rende poi ancora più difficile il percorso rieducativo. Non si tratta solo di un problema di natura tecnico giuridica connesso con l’applicazione dell’articolo 42 dell’ordinamento penitenziario, ma si tratta anche di una questione di natura culturale e sociale, cioè di avere da parte di tutti un approccio democraticamente positivo nei confronti dei detenuti e del mondo carcerario nel suo complesso. Ecco cosa dice l’articolo 42 dell’ordinamento penitenziario: “I trasferimenti sono disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell’istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari. Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie”. Nella prassi, il trasferimento per motivi di sicurezza è stato utilizzato come cautela presa nei confronti dei detenuti che, pur non avendo commesso illeciti disciplinari o penali, sono stati considerati scomodi perché troppo “attivi”. I trasferimenti per esigenze di istituto, per motivi di sicurezza e di giustizia, sono disposti d’ufficio dall’Amministrazione penitenziaria, incidendo inevitabilmente sul principio di territorialità. Le esigenze dell’istituto consistono in necessità organizzative dello stesso (come sovraffollamento, lavori di restauro, sicurezza interna, protezione dello stesso detenuto…), a cui è ovviamente estranea la condotta del detenuto. Per le storie ascoltate è stata rilevata una prassi di trasferimento per motivi di sfollamento, la quale nascondeva una “sanzione disciplinare” irrituale.
Questi motivi determinano trasferimenti provvisori, derogando al principio di territorialità a favore del diritto di difesa, delle relazioni affettive, del reinserimento del detenuto. Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria deve assumersi la responsabilità delle proprie scelte sbagliate. Noi continueremo ad essere resistenti, disarmati ma resistenti, difendendo il primato della persona diversamente libera e i suoi diritti inviolabili.