Guerra dei social: Google non ci sta e blocca gli account del governo afgano

Google non ci sta: con l’avvento dei Talebani a palazzo e con le informazioni contenute negli indirizzi email dei funzionari che avrebbero potuto offrire ai nuovi occupanti indicazioni importantissime per la presa di potere, il colosso americano lascia le informazioni, almeno per ora, sui server Usa

Taliban co-founder Mullah Abdul Ghani Baradar speaks, bottom right, talks at the opening session of the peace talks between the Afghan government and the Taliban in Doha, Qatar, Saturday, Sept. 12, 2020. (AP Photo/Hussein Sayed)

WASHINGTON – Google non ci sta e blocca gli account del governo afgano. Con l’avvento dei Talebani a palazzo e con le informazioni contenute negli indirizzi email dei funzionari che avrebbero potuto offrire ai nuovi occupanti indicazioni importantissime per la presa di potere, il colosso americano lascia le informazioni, almeno per ora, sui server Usa.

L’allarme

Google ha fatto sapere che “se i Talebani vogliono informazioni dovranno cercarle altrove, insomma: non saranno i server remoti di Gmail a fornirle e non saranno gli USA a collaborare in questa ricerca porta a porta dei nemici della nuova dottrina insediatasi. Il tutto nel modo più sicuro e senza colpo ferire: accesso negato”. L’Sos sarebbe arrivato direttamente dai tecnici nelle sedi istituzionali. Pare assai probabile, infatti, che siano stati presi di mira da talebani a caccia di nuove informazioni su nomi, collaborazioni, progetti. L’obiettivo sarebbe quello di  “poter ricostruire le maglie del Governo antecedente che avrebbe potuto consentire di smantellarne l’organizzazione e,  probabilmente, di procedere in modo più mirato nelle rappresaglie in atto”.

Il blocco

Ecco perché Google ha deciso di chiudere ogni via d’accesso. E così “gli indirizzi email governativi gestiti sono stati immediatamente sospesi anche se temporaneamente da remoto, ovvero “sequestrando di fatto tutte le informazioni in attesa che il Paese possa offrire reali garanzie sul rispetto dei diritti umani. Una azienda Usa che lascia il pallino nelle mani del Governo USA, insomma: in questa situazione non sarebbe potuto essere altrimenti”.

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