Habeas corpus

Gli Italiani sono diventati un popolo refrattario alla conoscenza. Poco inclini a costruirsi un’opinione compiuta delle cose che pure sarebbero di loro interesse, preferiscono la polemica e la contesa tra opposte fazioni. Offrite loro un fronte, una barricata, un partito e vedrete che presto vi aderiranno in maniera entusiasta, non fosse altro per lo sfizio di poter dir male dell’altra parte. Sia gli uni che gli altri, da orecchianti irragionevoli, si trasformeranno così in esperti della materia e, tramite i social, si sperticheranno nel pubblicare ogni genere di notizia spacciandola per “informazione”. Insomma: siamo al cospetto dell’eterno rinnovarsi del duello rusticano tra Guelfi e Ghibellini, tra tifoserie contrapposte. La politica, ormai terra di conquista per gente improvvisata se non incolta, si appassiona e si conforma anch’essa a questa sottospecie di andazzo. Non a caso le minoranze si sentono sempre e comunque contrapposte alle maggioranze, preda atavica di un’opposizione pregiudiziale e antagonista condita dalla solita sfilza dei “no” e dei “mai” sbandierati a prescindere, come becera funzione di sostegno di quelle che si ritengono “buone ragioni”. Niente a che vedere con le vere democrazie liberali ove spesso le minoranze criticano, integrano, correggono ma alla fine concorrono ad approvare un testo di legge, facendosi, semmai, portatrici di una proposta che, nel superiore interesse degli amministrati, possa anche essere condivisa. Un’eterna guerriglia politica e parlamentare, per dirla tutta, che non conosce soluzioni di continuità. Una situazione in cui l’avversario si trasforma in acerrimo nemico, di cui vanno sempre contrastati tesi e proponimenti. Eppure tutte le Costituzioni degli Stati moderni sono nate sul presupposto che le leggi garantissero gli uomini portatori di diritti e libertà naturali, non conculcabili né disponibili all’autorità costituita. La ragione e la morale, insita nelle leggi, dovessero sostituire il potere decisionale assoluto del monarca. Questa nuova visione democratica del potere nasceva quindi dall’inviolabilità delle prerogative dei cittadini a cominciare da quel “Habeas Corpus” (il primo codice dei diritti) che elencava il complesso delle norme che garantivano la libertà e l’incolumità personale dell’indagato e del prigioniero. L’inviolabilità del corpo di chi è sospettato di un delitto ed è sottoposto alla privazione della libertà, stava a significare, in parole povere: nessuna tortura inflitta per estorcere confessioni e sacrosanto dovere, da parte chi lo custodisce (magari in carcere), di garantirne l’incolumità e un trattamento personale adeguato anche dietro le sbarre. Significava altresì che non potevano venir meno i presupposti di umanità e di rispetto per la persona né violati, più in generale, i diritti previsti per ciascun cittadino. Lo Stato può certo allontanare dal consesso sociale chi danneggia o mette in pericolo i diritti, la proprietà, la vita e le libertà altrui, chi delinque violando le norme poste a garanzia dell’etica pubblica. Tra queste ultime è annoverato il diritto a non essere spiato, né oltraggiato, tantomeno sottoposto a indagini a propria insaputa. Un principio, quindi, vecchio di cinque secoli e che fu incardinato nella nostra Costituzione. L’esperienza, però, indica che talune procedure adottate da chi è chiamato a esercitare la giustizia, negano,nella pratica comune, taluni di quei diritti. E’ questo il caso del reato fumoso (ed estraneo al codice penale) del “concorso esterno” che non essendo mai stato circoscritto e tipizzato lascia agli inquirenti ogni vessatoria applicazione. E che dire della legge sui pentiti, che accolla al sospettato l’onere della prova negativa e non all’inquisitore il compito di fornire la prova positiva su cui si basano le accuse? Se a questi due “caposaldi” (di cui le procure fanno spesso uso e abuso) introduciamo la prassi di assoggettare chiunque ad intercettazioni telefoniche ed ambientali, ecco che il quadro delle garanzie per l’imputato di turno viene apertamente violato. Le carceri italiane sono piene di inquisiti arrestati e in attesa di giudizio. Centinaia i processi in corso di cui oltre il sessanta percento destinato ad andare in prescrizione per la scadenza dei termini utili per procurarsi prove sufficienti per poter incardinare il procedimento. E tuttavia si lavora per cancellare la prescrizione, avallando le ipotesi campate in aria del pubblico ministero, che carcerano senza uno straccio di prova. Insomma: si lavora per mantenere uno stato di polizia con intercettazioni a “strascico” finendo non più per intercettare il sospettato ma per creare dubbi e sospetti a carico dell’intercettato. Ora che un ministro di giustizia usa il parametro del garantismo per limitarne l’uso e l’abuso, ecco che gli amanti del tintinnio delle manette strepitano in Parlamento e sui soliti giornali. Contrariamente si agitano i garantisti e la vicenda finisce in querelle tra gli uni e gli altri, perdendo di vista la tutela del cittadino e dell’habeas corpus.

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