NAPOLI (Angela Garofalo) – Arrivano dalla provincia, dall’hinterland a nord di Napoli e da lì, hanno sempre raccontato cantando, di un altro punto di vista; i Letti Sfatti ritornano a distanza di tre anni dal loro ultimo album con “Ogni giorno rischio di essere felice”. Stavolta il focus è introspettivo ma nel quale, ognuno può riscoprire, l’importanza della lentezza come raccontava Luis Sepulveda in una sua favola; riappropriandosi dei propri ritmi, naturali e non forzati. “Ogni giorno rischio di essere felice” è uscito da pochi giorni solo nel formato materiale mentre dal 22 aprile, sarà disponibile in tutti i digital store contemporaneamente all’uscita del videoclip “La serranda”. Per le presentazioni live bisognerà attendere il ritorno dalle tappe nel nord Italia, iniziate oggi. Sette brani inediti quali: La serranda, Acquaragia, Mi piace, L’amore è uguale per tutti, La gratitudine, Una strada e Stelle comete, oltre l’edito ‘Lei balla il mambo’, completano un ‘urgenza’, e tale definizione, è l’unica in controtendenza a tutto il passo del disco che è: naturale e lento, libero da ritmi e costrizioni, un fluire di emozioni che piano piano, nella premura di essere dapprima scritte e poi musicate, hanno tracciato, come la scia segnata dalla lumaca, un loro sentiero che chiedeva ascolti condivisi. Gli otto brani sono prodotti e arrangiati da Jennà Romano alla voce, strumenti a corde e sintetizzatori, suoi anche i testi; mentre Mirco Del Gaudio ha suonato batteria e percussioni. “Ogni giorno rischio di essere felice” è un album concepito in due volumi; si completerà con un secondo la cui uscita è prevista per novembre di quest’anno. I Letti Sfatti oggi sono il duo Jennà Romano e Mirko Del Gaudio. Nel loro percorso artistico hanno tracciato e intessuto lavori di prestigio in ambito artistico, spesso coniugati a spettacoli e pellicole cinematografiche.
Siete espressione del ‘rock di provincia’, definizione che portate con orgoglio: i vostri lavori precedenti, fatto salvo alcuni brani, erano analisi sociali fatte dal binocolo della provincia. Ora un lavoro intimista dove chi scrive è al centro di tutto: lui, l’io, e il suo microcosmo affettivo. È una metamorfosi, un’evoluzione o solo un temporaneo pit-stop dei dissacranti osservatori sociali?
In realtà, le canzoni non sono nulla di definito fino a quando, qualcuno non decide di dare ad esse una connotazione. Capita spesso che alcune vengano catalogate come di impegno sociale ma non è sempre detto che sia così. In quasi tutte le canzoni che scrivo parlo in prima persona, è prima di tutto una mia necessità scrivere una canzone e cerco, e credo, di riuscire ad essere quasi mai sentenzioso. Non mi è mai piaciuto il concetto della canzone di protesta che possa cambiare qualcosa, la canzone è una compagnia al proprio mondo, fatto di piccole cose in cui ci si può rispecchiare o dare una propria interpretazione. L’ultimo lavoro è la fotografia di un periodo molto ristretto di emozioni, è stato volutamente realizzato in due mesi tra composizioni, registrazioni e finalizzazione e, con ogni probabilità, non è né una metamorfosi, né un’evoluzione, è forse semplicemente una rottura con l’idea che tutto vada pensato prima, allineato a come funziona oggi il mercato e confezionato. Questo è un disco di musica, suonato ancora con gli strumenti musicali ed è sentito come un’esigenza artistica.
E’ un andamento diverso, un disco fortemente umorale, nei testi e nel sound. Con una connotazione decisamente ‘vintage’. Rispecchia suoni e strumenti di ascolti musicali formativi. Voleva riportare in auge quegli strumenti, non potendo riavere ‘indietro’ ciò che è andato?
Le parole e la musica devono rigorosamente essere umorali per essere vere. Se questo metodo non si applica all’arte, e all’idea di viversi una vita senza grossi rimpianti, non so in cosa possa essere incanalata oggi la libertà di pensiero e la volontà di esprimersi. Il discorso sulle sonorità vintage è di una notevole relatività. Con strumenti come la chitarra, un basso e una batteria si sono fatte le più grandi rivoluzioni musicali degli ultimi settant’anni. Sono dell’idea che per fare musica questa va suonata. Purtroppo in giro si sta divulgando fortemente, l’idea che si può semplicemente cantare su una base preregistrata dando così un valore a qualcosa che fino a poco tempo fa era estremamente amatoriale: il Karaoke. Non bisogna confondere ‘le tendenze’ con la musica. La storia insegna che ci sono gruppi ‘di tendenza’ che dopo un paio d’anni di attività sono già vecchi e poi, ci sono: i Rolling Stones, David Byrne, David Bowie.
Anche sui titoli siete soliti stupire. Stavolta la copertina presenta una lumaca e recita “Ogni giorno rischio di essere felice”. L’introspezione cupa che si può definire dal titolo, seppur sagace, è smentita in alcuni testi del disco. Dunque un lavoro su stessi che ha prodotto un disco dando nel frattempo anche la cura. La tempesta emotiva è passata?
Guai a pensare che le emozioni abbiano una scadenza. La lumaca è una foto che ho scattato con il telefonino dopo che me la sono trovata d’avanti ai piedi sull’asfalto. La lumaca mi ha dato tutto il tempo per fare una buona foto, si è prestata senza pretendere in cambio un selfie. Non ci trovo introspezione cupa nel titolo del disco, anzi è un invito a rischiare di più nelle cose di tutti i giorni, per non perdersi la possibilità di avere un piccolo momento di felicità. La felicità come status è un’utopia, è l’insieme di piccoli momenti cercati di felicità che danno la sensazione di essere appagati, ma bisogna rischiare.
A tre anni dall’ultimo album arrivate con un doppio lavoro che si completerà a novembre di quest’anno. A quale esigenza risponde questa distanza e poi vicinanza di pubblicazione?
C’è un passaggio particolare dal disco precedente a questo. In questo disco, oltre alla composizione dei brani che già in precedenza era la mia, mi sono caricato di curare anche l’intera produzione e di scrivere tutti gli arrangiamenti. Produco e scrivo musica da alcuni anni anche per altri artisti, e diciamo, che ho imparato a fare il sarto su misura. Lavorando alla musica di altri, impari anche da tutto ciò in cui gli altri peccano o per leggerezza o per poca predisposizione. Come sarto, quindi, quando poi faccio un vestito per me, prima di tutto, mi preoccupo di avere della buona stoffa di partenza altrimenti, non ho motivo di imbattermi in un lavoro faticoso e meticoloso in cui la materia prima è dozzinale. Poi curo i dettagli, imparando dalle esperienze precedenti. Quest’ultimo disco, è frutto di tutto ciò che è intercorso dal precedente. Il lavoro continuerà in un secondo volume dello stesso anno perché c’è l’esigenza di un altro capitolo per mettere un punto a questo periodo.