Sembra non voler finire mai la querelle all’interno del Movimento Cinque Stelle, ove la litigiosità dei capibastone e la continua formazione di clan autonomi, somiglia tanto alle diatribe alimentate dalle correnti della vecchia Democrazia Cristiana . Il paragone, sia ben chiaro, è solo allegorico e forse anche un tantino oltraggioso per i politici dello Scudo Crociato, gente di cultura ed esperienza. Anche all’atto pratico devesi evidenziare una grande differenza tra i gruppi correntizi nella “balena bianca” e la banda di scalmanati, senza arte né parte, protagonista della vicenda pentastellata. Per capirci, i DC si muovevano all’interno di precise regole statutarie, in un partito nel quale ciascuno veniva pesato per il consenso ottenuto, prima nei congressi sezionali, provinciali e regionali ed infine nella grande kermesse del congresso nazionale. Il dibattito interno era pubblico ed a volte pregevole per i distinguo che caratterizzavano idee e progetti nei quali ciascuna componente si identificava. Alla fine le tesi più votate partorivano un organigramma di sintesi finale che contrapponeva, in genere, due diversi candidati alla segreteria nazionale. Gli esiti del congresso e la piattaforma politica-programmatica vincente determinavano, prima o poi, anche cambiamenti nella compagine governativa, se non veri e propri mutamenti nelle alleanze stesse di governo. Insomma, si innescava un capillare processo democratico in tutti gli ambiti territoriali dove il partito era rappresentato. Un partito popolare, si badi bene, che raccoglieva tutte le istanze periferiche per portarle a sintesi ed a ratifica democratica. Cosa sia invece oggi il M5S nessuno è in grado di poterlo definire. Tantomeno è dato poter scegliere, all’interno di regole certe e verificabili, una classe dirigente cui affidarsi una volta venuto meno l’uso truffaldino della piattaforma Rousseau per ratificare, senza alcuna certezza, la reale espressione del voto. Il meccanismo assembleare permanente tanto decantato dai Grillini, è sempre stato una mera presa d’atto delle decisioni assunte al vertice. Scomparsa anche la vocazione a decidere ed a discutere in streaming le questioni politiche, tutto nasce e muore tra le segrete mura. Altro che trasparenza, una delle tante parole d’ordine utilizzate come elemento distintivo nel Movimento dei guru Casaleggio & Grillo! In casa 5 Stelle le discussioni, le liti, le scelte sono finite tutte nelle segrete camere dei potenti e degli uomini di governo o che ricoprono cariche istituzionali. Non trapela alcun documento in grado di far apprezzare alla base dei militanti e degli elettori i punti di divergenza su cui si discute. Eppure si tratta del testo di un semplice statuto, che pare essersi trasformato nel terzo segreto di Fatima, oppure in un testo di alchimisti medioevali per trasformare, con la pietra filosofale, il piombo in oro. In disparte ogni altra considerazione, va sottolineato che, per coloro che non hanno gli elementari strumenti culturali e gli opportuni convincimenti politici, anche un banale statuto di partito può rappresentare un ostacolo insormontabile. Tuttavia la questione vera non è tanto lo statuto in sé quanto il principio contrapposto, la visione politica antitetica tra Grillo e Conte. Il primo rivendica la primogenitura del fondatore, il sudore profuso, la gloria dei “vaffa day”, le filippiche istrioniche, la base ideologica nazional qualunquista, con le quali ha portato un gruppo di persone prese alla rinfusa ad essere il partito più votato nelle ultime politiche in Italia. L’ex comico genovese, insomma, da illusionista ed affabulatore, si sente l’artefice principale di un’impresa che trova ben pochi riscontri nella storia dei movimenti politici in Italia. Un’impresa paragonabile solo al successo riscosso dal partito dall’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini negli anni Cinquanta del secolo scorso. Il secondo contendente, l’ex premier Giuseppe Conte, persegue invece il disegno di creare un movimento che si trasformi in forza politica organizzata con tanto di regole da osservare, scalabile democraticamente attraverso l’esercizio di regole ben precise, capace di dare stabilità ed identità alla vecchia protesta pseudo rivoluzionaria che pure ne ha caratterizzato le origini. Non credo che le due visioni siano conciliabili e se vi si riuscisse con un compromesso, ne verrebbe fuori un equilibrio precario che non reggerebbe al primo urto. Da quello che i sondaggi rilevano, Conte può contare su di un largo seguito tra i parlamentari e gli attuali uomini di governo pentastellati ancorché questo consenso non sia per nulla rappresentativo di quello elettorale, ormai rimasto solo un lontano ricordo. L’impressione che se ricava è che entrambi i contendenti non andranno lontano, essendo i voti ottenuti in passato il frutto di una posizione contestataria al passo con la stagione dell’irrazionalità e della rabbia sociale senza meta e senza costrutto. Insomma, non basteranno i sette nani politici chiamati come saggi a dirimere la tenzone.