Non sono pochi gli elettori di Giorgia Meloni con alle spalle una storia missina. Costoro festeggiano la vittoria della “pasionaria” romana come emblema di un orgoglioso riscatto dei tempi in cui venivano considerati nostalgici residuati post fascisti. Anni nei quali il Msi era tenuto fuori dal cosiddetto “arco costituzionale” ovvero dal coacervo dei partiti di sicura affidabilità democratica. L’esaltazione della Resistenza che aveva contribuito a liberare l’Italia dalla dittatura, come fondamento culturale e ideale della Costituzione, aveva messo quel partito, che “non condannava e non restaurava” l’era mussoliniana, fuori da ogni interlocuzione con le altre forze politiche. I militanti e i dirigenti politici di destra subivano un continuo ostracismo e una discriminazione che spesso sfociava in cruenti scontri nelle Università e nelle piazze con i militanti comunisti, alimentando il settarismo e il nazionalismo di quelli che salutavano col braccio teso per rivendicare la propria identità e la propria storia. Tra alterne fortune elettorali si arrivò, dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Urss, a celebrare il congresso del partito a Fiuggi sotto la guida del giovane Gianfranco Fini. Si trattò di una vera e propria svolta ideologica che prese vita non senza aspre polemiche e contrapposizioni con l’ala più conservatrice capeggiata da Pino Rauti, leader della cosiddetta Destra Sociale. A Fiuggi la scelta operata dal Msi fu quella di abbandonare i riferimenti ideologici al fascismo, riqualificandosi come forza politica legittimata a governare. Sul piano economico fu cancellata la vecchia eredità del corporativismo, sostituita con le teorie dell’interclassismo e del libero mercato. Lavorarono a questa radicale svolta uomini di grande acume come il filosofo Domenico Fisichella, l’economista Mario Baldassarri, gli intellettuali Gennaro Malgeri e Marcello Veneziani, il politico Pinuccio Tatarella. Auspice questa classe dirigente, prese forma e vita a Fiuggi un nuovo partito, Alleanza Nazionale, nel quale una giovanissima Giorgia Meloni si avviava a recitare ruoli di primo piano. La disgregazione del Popolo delle Libertà, a causa della rottura tra il cavaliere e l’ex Presidente della Camera, creò poi le premesse per la nascita di Fratelli d’Italia la cui storia è recente. Dopo aver mangiato polvere e versato ancor più sudore sui banchi dell’opposizione, avvantaggiata dal declino di Berlusconi e dall’incapacità politica di Matteo Salvini, Giorgia si appresta ora a ricevere dal Capo dello Stato l’incarico di formare il nuovo governo di centrodestra. Un incarico che giunge in un contesto sociale ed economico di crisi, inflazione, caro bollette e di protesta, incastonato in un quadro internazionale gravido di incognite per gli effetti della guerra in Ucraina scatenata da Putin. Uno Stato in braghe di tela con uno spaventoso debito pubblico da risanare e nel quale cresce la protesta sociale. Un clima che ricorda quello che dovette affrontare Margaret Thatcher in Inghilterra appena insediata al numero 10 di Downing Street. La “lady di ferro” affrontò con mano ferma e idee liberali e liberiste la crisi economica che aveva messo in ginocchio il Regno d’Oltremanica. La premier britannica seppe tenere a bada le consorterie sindacali e le burocrazie che impedivano a quella nazione di aprirsi ad un piano di rilancio del mercato di concorrenza e di tagli alla spesa statale parassitaria. Thatcher disponeva di un apparato politico-istituzionale snello ed efficiente, con una sola Camera che decideva sulle leggi e un regime monarchico rispettato e severo nel controllo e, soprattutto, di rispetto e considerazione da parte dell’opinione pubblica. La nostra leader non ha nessuno di questi agili strumenti di governo nelle proprie mani e dovrà per questo fronteggiare conventicole sindacali, compromessi con clientele e blocchi sociali ed elettorali, oltre a uno statalismo diffuso ed inefficiente, creato sul presupposto che lo Stato abbia prerogative etiche superiori e prelazioni sulla libera iniziativa. Uno Stato bolso e ridondante, pervasivo nella vita degli individui, da ridimensionare e rendere efficiente dove la scuola è stata trasformata in accoglienza senza didattica, il servizio sanitario ha cronici ritardi, non ha concorrenza e non lascia libera scelta ai malati, circa diecimila imprese partecipate dallo Stato, con circa trentamila componenti nei Cda molte delle quali sono deficitarie. Questo per non dire dell’atavica discriminazione tra Nord e Sud, di un regime di tassazione criminogeno, di una Magistratura inquirente irresponsabile e politicizzata. Dovrà conquistarsi la fiducia delle cancellerie europee e del gotha finanziario, stante il pregresso sovranismo euroscettico. Insomma, la Meloni è chiamata a evitare che la svolta si riveli la stanca continuazione dei vecchi modi di governare con la leva della spesa statale e del deficit, facendo solo uno spoil system con l’inserimento dei sodali nel sottobosco governativo. Un bivio, quello innanzi al quale la leader di FdI si trova, che metterà a dura verifica i suoi propositi di rinnovamento e la capacità di realizzarli. Auguri.